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A Tear Beyond: “Maze Of Antipodes” – Recensione

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Un unico pensiero mi ha accompagnata durante l’ascolto integrale di “Maze Of Antipodes” degli A Tear Beyond: voglio vederli dal vivo!
Il vicentino si conferma ancora una volta fucina di agglomerati spirituali che riescono a tradurre in musica sensazioni (o anche epoche), riuscendo perfettamente nella commistione di generi, regalando anche una speranza ai divoratori di dischi come noi, sempre alla ricerca del particolare, di quel quid che faccia la differenza.

Per quanto scura ed “antica” possa essere l’immagine della band, gli A Tear Beyond riescono nell’intento di modernizzare il sound, in maniera elegante e ponderata, senza lasciarsi prendere la mano dalle etichette di genere, mantenendo quindi fede a quegli “antipodi” tanto declamati.
Sono certa che ascoltare (e guardare) la band dal vivo sia davvero un’esperienza da fare. Non è solo la presenza scenica, non è solo la teatralità che contraddistingue un outfit, ad imporsi sul resto. Si capisce che qui c’è sostanza.
Gli elementi ci sono tutti. Si parte dalla voce calda ed accogliente di Claude Arcano, un singer che potremmo definire come un ingentilito Till Lindemann sotto tutti gli aspetti, sia estetici che prettamente musicali. Anche perchè le parti in scream che fa Claude nella musica dei Rammstein non c’è.
Dal punto di vista della composizione è notevole come le atmosfere Gothic si sposino perfettamente con moderni accenni Noir senza scadere nella ridondanza sinfonica che può seccare dopo il secondo pezzo. Il tutto è vivificato dalla personalizzazione che viene fatta dell’Industrial Metal prodotto, capace di costruire nella mente di chi ascolta il tipico scenario che sarà portato on stage.

Sette le tracce che compongono “Maze Of Antipodes”.
Adoro gli archi e la potenza vibrante della cassa di “The Human Zoo”, un leitmotiv che si ripete, ancora più incisivo, in “Forgiveness”.
Per chiamare in causa un altro grande, direi che Arcano, assieme a Serj Tankian, si divide il premio di miglior voce narrante, nel senso che non sempre c’è bisogno di ricorrere a vocalizzi o ad estremismi tecnici per arrivare al cuore di chi ascolta.
Citare solo il cantante però sarebbe ingiusto nei confronti del resto della band: l’orchestrazione di ogni singolo strumento è meritevole di lode perchè è il lavoro d’insieme che rende il disco un piccolo diamante grezzo.
Un altro pregio degli A Tear Beyond è la misura: anche il synth di “Behind The Curtains I’m Dying” è invasivo quanto basta e sa farsi da parte al momento giusto, lasciando il posto alla melodia e alla combine vocale che occupa le linee della traccia.
Ultimo cenno per “Absinthe’s Dirge”: una sorta di poesia in chiave italica che trova la chiosa nello scoppiettare della punta di un giradischi.
Produzione eccellente e promozione a pieni voti.