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Anger At Dusk: “Anger At Dusk” – Recensione

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Anger At Dusk

Prima di parlare del debutto discografico dei milanesi Anger At Dusk vi dico subito che se amate il Metalcore/Progressive non potete farvi sfuggire questo album; se siete soliti tirare testate al muro a suon di Periphery, Tesseract, Unearth et similia, qui troverete pane per i vostri denti.

Fatta questa dovuta premessa, “Anger At Dusk” è un prodotto davvero maturo e in grado di competere con acts internazionali ben più blasonati. La miscela proposta dai Nostri ha come base quella Metalcore, resa dannatamente interessante da aperture Progressive di pregevole fattura, inserimenti Jazz e frangenti melodici sing-along ben confezionati.

Per capire la cifra artistica del quintetto bastano le prime note dell’opener “Got No Heart”, con il riff iniziale tritaossa, la successiva “Fade” il cui incipit vede le chitarre di Mattia Dambrosio e Giacomo Lorioli duettare tra loro, supportate da una sezione ritmica chirurgica costituita dalla basso di Luca Porzio e dalla batteria di Stefano Reynoldz Brognoli. Seguendo la tracklist con “Scared e Lonely” il sound proposto inizia suonare davvero familiare, lo stile riconoscibile, pur facendo uso di breakdown ed aperture con il cantato quasi clean di Stefano Mainini; in questo caso impossibile non rinvenire nelle influenze anche quella dei Killswitch Engage. Con “Oblivion” continua lo spettacolo, il cui ruolo principale è svolto sicuramente dalle chitarre, in grado di scagliarsi violentemente sull’ascoltatore con riff trascinanti, salvo poi stemperare i toni con parentesi Jazz e qui capisci che i ragazzi ci sanno fare.

Tra le altre citiamo sicuramente “Drowning”, che vede anche la partecipazione di Ralph Salati dei Destrage. Si tratta di una delle tracce meglio riuscite e complete del platter. Superbo come sempre il lavoro delle chitarre, creano degli intrecci di note che danno l’idea di un flusso continuo di colori e sensazioni che scaturiscono da esse. A supportare i due axemen ovviamente la già citata sezione ritmica, che non sbaglia un colpo. Decisamente più easy nelle linee vocali “Distant Memories”, ma nulla di scontato perché questi ragazzi sanno il fatto loro e riescono a creare qualcosa di interessante, che rimane ben impresso nella mente anche quando si lanciano in episodi più “pacati”. Da citare anche “Cowards”, brano che rimane sì ben ancorato a quella che è la miscela muscolosa degli Anger At Dusk, salvo poi lasciare per qualche secondo il posto ad un vero e proprio intermezzo jazzato che ti lascia a bocca aperta. Tralasciando la conclusiva e strumentale “1987”, possiamo dire che con “Eaten Up” si conclude un album davvero interessante: in questo caso il riff iniziale ha un sapore quasi Southern, inutile dire che si tratta di una scelta azzeccatissima.

“Anger At Dusk”, come detto in apertura, è un album che non deve mancare nella collezione di ogni amante di questo genere; questi musicisti hanno davvero talento e dimostrano di sapere perfettamente cosa stanno facendo, hanno le idee ben chiare ed una strada da percorrere per esplorare nuove sonorità e spingersi oltre.