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Arca Hadian: “The Prophecy” – Recensione

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Finalmente una band che ha capito la funzione dell’intro. Sembra una cosa di poco conto, eppure lasciatemi dire che la maggior parte dei gruppi che utilizza questa formula spesso cade nel tranello dello “stop’n’go”, della intro che fa presenza a sè all’inizio dell’album, non creando una continuità con il primo vero pezzo.
Nel caso degli Arca Hadian l’intro diventa funzionale al brano successivo e questo è un aspetto che viene valutato in maniera positiva, perchè indice di pulizia e accuratezza.

The Prophecy” presenta tutte le caratteristiche di un album di apprezzabile fattura, con il sigillo di garanzia apposto da Simone Mularoni in fase di mixing e mastering. A questo ci aggiungiamo la capacità della band, al debutto sul mercato, di creare un prog d’atmosfera che attinge dal power sinfonico, con l’aggiunta di strumenti a coadiuvare l’azione evocativa ricercata.
Gli spunti interessanti arrivano proprio dalle atmosfere che si intendono ricreare. Ed il risultato è lusinghiero perchè il tutto poggia su basi ben solide. Parliamo di artisti che si sono messi in gioco con cognizione di causa, nel senso che se è vero che tutti possono fare musica è pur vero che non a tutti poi riesce bene.

Gli Arca Hadian nascono dalle menti di due pro: il chitarrista Federico Di Pane e Carlo Faraci (ex-Odyssea): l’intento è quello di modernizzare e forse italianizzare un sound tipico della scena sinfonica tedesca; intento che riesce perchè la fase dello “scopiazzamento” non rientra nel ciclo di produzione di “The Prophecy”, rendendo quindi il prodotto finale assolutamente credibile.
Tra i brani della release mi sento di segnalare “Future In My Mind”: trattasi di un pezzo che può essere tranquillamente preso in prestito dalla collezione di classici del passato, caratterizzato da un assolo epico e con atmosfere da brividi.
Adoro poi l’intro di “Resistance” in quanto il prog sinfonico viene reso attuale dai richiami all’headbanging di matrice hard rock tipici, ad esempio, dei Lacuna Coil con i quali non vi è alcuna affinità, chiariamoci, ma vi sono particolari arrangiamenti che fanno volare di fantasia. Scelte stilistiche, come ad esempio l’arabesque di “Words To You”, che danno un’impronta versatile al sound della band, rappresentando allo stesso tempo un’idea vincente.

Nel finale l’album diventa prima riflessivo (“Dreamers Ride”, dove entrano in gioco anche gli archi) e poi esplosivo. Si chiude con il botto, con “Rising Force”, cover di Yngwie Malmsteen dove tutto sommato non ci si discosta dall’originale, salvo per la voce di Faraci che chiaramente conferisce maggiore eco alle note.
In definitiva “The Prophecy” è un album adatto a chi cerca un corrispettivo teutonico in casa nostra, ma che non ha voglia di rigirare la stessa salsa, bensì emozionarsi con un prodotto made in Italy.