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Arcana Opera: “De Noir” – Recensione

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Avete presente la serie televisiva “Wayward Pines” con Matt Dillon? L’aspetto futurista che si fonde con il ritorno alle origini, al dover iniziare tutto d’accapo, nonostante si sia nell’anno 4028, più o meno.
Ecco… se “De Noir” degli Arcana Opera fosse una piece televisiva sarebbe questa.
Album consigliatissimo perchè misterioso e ricco di sfumature interessanti.
Il ritorno del visionario Alexander Wyrd è questo full-lenght di nove brani dal sapore “noir” in cui lo studio dell’esoterismo ha portato alla composizione di brani dalla pregevole fattura.
Wyrd incanta. Le lyrics non sono semplici testi: sono racconti rilegati con la filigrana, da maneggiare con cura e da assimilare.

La release si apre con “Cave Canem”, brano utilizzato dagli Arcana come il pezzo di lancio dell’album: ascoltato una volta, non si può fare a meno di canticchiarlo durante il corso della giornata.
Ufficialmente gli Arcana Opera propongono un Noir, Folk, prog letterario, Gothic d’autore e mai “etichetta” è stata tanto azzeccata.
Il pregiudizio dal quale si può partire, infatti, è quello di rilegare il lavoro della band nel calderone di coloro che uniscono il Gothic al Folk, rendendo la loro musica piacevole per le feste di piazza, dimenticando il fatto che si parla comunque di metal e quindi di un genere che si presuma abbia una componente “pesante”.
Nel caso degli Arcana, ed in questo specifico di “De Noir”, possiamo dire che l’obiettivo è stato centrato in pieno, perchè tutte le esigenze dell’ascoltatore vengono prese in considerazione.
Tra i pezzi più “popolari” c’è da menzionare l’impronunciabile “Quetzalcoatl” (nome azteco del dio serpente piumato): è uno di quei brani che speri siano in setlist perchè è coinvolgente, è un’iniezione di energia per tutti i sensi.
Ci si sente quasi in soggezione, qui dell’aggettivo “scontato” non ne si conosce il significato.
Prendiamo un altro pezzo: “Caffè Marco Polo”. In questo brano è facile immaginarsi sulla prua di una nave che attreversa il Canal Grande di una Venezia di fine 1200, chiudi gli occhi e vedi il Ponte di Rialto, che è lì che ti saluta.

“De Noir” diventa quindi prosa italica plasmata attraverso le sonorità di un un noir metal che non disdegna le sfumature prog, rendendo il tutto un lavoro di pregio, meritevole di ascolti ad ampio raggio.