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Backjumper: “Haze” – Recensione

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backjumper haze

“Haze” è il terzo album per i baresi Backjumper, i quali si riconfermano battaglieri e guerrafondai come sempre, grazie al loro sound aggressivo e muscoloso.

Nove tracce che spziano dall’Hardcore al Southern, passando per Stoner e Sludge, senza disdegnare sfumature Rap Metal che li avvicinano, per le soluzioni adottate, ai maestri del genere Rage Against The Machine. Sensa chiamare in causa altre band di grande prestigio, possiamo affermare che questi ragazzi hanno una dose massiccia di personalità, che si traduce in brani incendiari, degli ordigni pronti ad esplodere alla minima scintilla.

Sin dalla prima traccia “Whoreship Statue” riscontriamo buona parte degli elementi costitutivi che abbiamo elencato, perfettamente sintetizzati in poco più di tre minuti; allo stesso modo la successiva “Two-Sided Dagger” aggredisce l’ascoltatore grazie ad un riff di chitarra molto potente, che induce ad un headbanging sfrenato, ma i Nostri non si risparmiano e trovano anche il tempo per inserire passaggi più cadenzati e dai bpm più contenuti. Ogni strumento svolge egregiamente il proprio compito, in primis la chitarra di Vasco Savino, che predilige accordi poderosi, a volte suonati in palm muting e riff granitici e trascinanti, come in “The Blessing”, che mi ha ricordato una traccia dei GF93 nel riff portante, ma che non disdegna nemmeno una parentesi melodica.

La componente melodica, appena accenata in qualche episodio precedente, in “The Way I Died” diventa parte integrante e ci dimostra quanto il singer Francesco Bellezza riesca a spaziare tra liriche urlate in stile Hardcore e parti quasi sussurrate. La melodia dei Backjumper è comunque sofferta e malinconica, rispecchiando in toto il quadro generale delle emozioni, sempre delineate da contorni oscuri. È il basso di Dario De Falco ad aprire “Wolves At My Door”, brano che porta con sé anche alcune aperture che richiamano alla mente una più moderna venatura Metalcore. Da citatre anche il drummer Francesco Campanelli, il cui operato è sempre impeccabile e ben si adatta ai riff macinati dalla chitarra, dimostrando di essere una macchina da guerra inarrestabile.

Tra gli ultimi tre brani sono sicuramente da chiamare in causa “When Breathing Doesn’t Mean Living” e “Lowlife”, con il primo che si attesta tra le migliori composizioni del lotto.

I Backjumper, attivi dal 2003, hanno sempre ottenuto ottimi consensi di pubblico e critica, “Haze” non è da meno e ci consegna una band in grande spolvero, il cui animo belligerante non accenna a placarsi…e questo è un bene!