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Bad Bones: “Il Rock lo facciamo con chitarra e rabbia, non con tastiere e PC”

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Quando il Rock ti scorre nelle vene, è impossibile seguire una strada diversa. I Bad Bones ne sono la prova, perché il loro stile è fedele alla tradizione: voce, chitarra, basso e batteria, senza synth o altre diavolerie elettroniche. Certamente non demonizzano chi ne fa uso, ma in “High Rollers” troverete solo un concentrato di Hard Rock. Ne abbiamo parlato con Steve Balocco.

Ciao Steve, benvenuto sulle pagine di Metal In Italy. Nelle scorse settimane è uscito il vostro nuovo album “High Rollers”, com’è stato accolto dai fan? Siete soddisfatti del risultato finale?

Ciao Stefano e grazie mille per lo spazio che ci date sulla vostra fantastica webzine. Il tour è appena iniziato ma siamo davvero soddisfatti della risposta del pubblico e della stampa, abbiamo ottenuto davvero tante recensioni positive sia all’estero che in Italia, stiamo continuando a lavorare sodo, a fine anno saremo in Lituania e Lettonia e l’anno prossimo, oltre a Inghilterra ed Europa, torneremo in America, ci aspetta un 2019 di fuoco. Meglio di così non si poteva partire.

Ascoltando i brani ho notato, tra le altre cose, riff taglienti, aperture melodiche molto accattivanti e soprattutto linee vocali che chiedono di essere cantate a squarciagola. Secondo voi quali sono, invece, i punti di forza dell’album?

“High Rollers” è un album istintivo, poco ragionato, suonato di pancia. Non ci siamo posti limiti, “Demolition Derby” aveva ottenuto grandissimi riscontri, Metal Hammer lo aveva messo tra i migliori 10 album italiani dal 2010 ad oggi, e ha ottenuto davvero dei risultati importanti a livello di vendite e feedback da parte dei media, era normale sentire un po’ di pressione nella fase di songwriting, ma ce la siamo scrollata di dosso attingendo alle caratteristiche fondamentali della band: sfrontatezza e sicurezza in noi stessi. Abbiamo solo ed esclusivamente pensato a divertirci.

Per “American Days”, uno dei brani presenti nella track list, è stato realizzato un video con le immagini della vostra esperienza negli States. Cosa è successo durante la permanenza in America? Qualche aneddoto da ricordare?

L’America è sempre presente nei nostri dischi, perché la band è nata laggiù e in California abbiamo dei legami personali molto forti. Durante l’ultimo tour ci siamo divertiti davvero molto, poi eravamo in compagnia degli I Don’t Know, ottima band che abbiamo deciso di portarci dietro come special guest, con loro il livello di cazzate e scene imbarazzanti si è moltiplicato! Un sera suonavamo in un locale a North Hollywood chiamato The Other Door, c’era parecchia confusione e volumi davvero devastanti, a un certo punto arriva il promoter e ci chiede di fermare il concerto perché stava arrivando la polizia, il pubblico a quel punto ha iniziato a scaldarsi, urlavano e chiedevano di continuare, la nostra risposta è stata, ok ve ne facciamo ancora una e attacchiamo con Aces of Spades dei Motorhead la gente va in delirio all’arrivo dei poliziotti c’erano ragazze in topless che limonavano, gente che pogava senza un minimo di senso, tutti ubriachi o fatti di qualcosa, una scena da girone infernale. Pensavo ci avrebbero sbattuti dentro, invece ci han fatto finire il pezzo e quando han visto che era l’ultimo se ne sono andati! Sono stati dei signori!

Il 16 novembre c’è stato il release party. Quali le emozioni nel portare per la prima volta i nuovi brani sul palco?

Eravamo davvero emozionati, proporre le nuove canzoni è stato bellissimo, quando arrivi al quinto album hai davvero difficoltà a decidere la scaletta e, allo stesso tempo, c’è una sensazione di grande orgoglio. Scorri i titoli della canzoni dei vari album per selezionare quelle più adatte e ti rendi conto della strada fatta, non è banale al giorno d’oggi riuscire ad avere questa continuità. A livello di location, presentare il nuovo disco a Torino, una città che ci ha sempre sostenuto tantissimo è stato davvero il massimo, la risposta del pubblico è stata davvero esaltante.

Qual è la dimensione che si addice maggiormente ai Bad Bones: lo studio di registrazione o il palco? E perché?

La nostra dimensione è il live, con il tempo grazie a Simone Mularoni e Roberto Tiranti abbiamo anche imparato a divertirci in sede di registrazione, ma continuiamo ad essere una live band. I nostri pezzi son fatti per essere suonati dal vivo, in studio non utilizziamo sovra incisioni o elettronica, facciamo tutto come si faceva 40 anni fa, sul disco ascolti un basso una batteria una chitarra e una voce, stop. Non siamo innovativi? Non ci importa, ci divertiamo a comporre e a suonare così, nudi e crudi. È la nostra filosofia, il nostro credo e non cambieremo mai. Mi son sentito dire che la chitarra è ormai uno strumento fuori moda, che la batteria è meglio campionarla e costruirla al computer, che senza dei synth e dei suoni particolari tutto appare scontato. Non mi han fatto cambiare idea, il rock dei Bad Bones si fa con la chitarra e con la rabbia, non con le tastiere ed i computer, se poi siamo fuori moda non ci interessa, noi ci divertiamo un mondo e anche il pubblico ai nostri concerti balla e scuote il testone, i computer e le basi li lasciamo volentieri agli altri, la nostra è musica suonata e vissuta.

I Bad Bones hanno, artisticamente, i piedi ben piantati nel Rock degli anni ’80. Quali sono le band che hanno maggiormente influenzato il vostro stile?

Siamo musicalmente cresciuti tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90, io, Steve, sono un grande fan dei Black Sabbath e della NWOBH, dagli Iron Maiden ai Saxon ai Motorhead, ma adoro i Whitesnake i Def Leppard e il bluesaccio sporco degli ZZTop, Max ama WASP i Gotthard del compianto Steve Lee, Jeff Scott Soto e Glenn Hughes, Sergio è molto legato a band come i Rolling Stones, Van Halen ed AC/DC ma ha uno spirito punk, Lele ascolta davvero di tutto dai Mattia Bazar (di cui è grande fan) agli Anthrax, passando per gli Alice in Chains e i Faith no More. In tutto questo intreccio di stili diversi abbiamo lavorato tanto per trovare il sound della band, è stato un processo lungo e difficile ma siamo contenti del nostro stile, siamo una band che fa Hard Rock ma abbiamo una nostra chiara identità, una nostra personalità.

Visto il proliferare di tanti genere e sottogeneri, diavolerie elettroniche ed altre amenità, pensate che definirsi Rock/Hard Rock sia anacronistico?

Credo lo sia sicuramente, la musica negli ultimi 30 anni è cambiata tantissimo, sono cambiate le mode e gli approcci al modo di comporre, suonarla registrarla e ascoltarla. Noi siamo usciti illesi da tutto questo, fondamentalmente funzioniamo come una band di fine anni 80 e magari in futuro questa cosa diventerà un pregio, non lo so, a noi comunque non interessa, la cosa più importante è divertirsi, suonando quello che ci piace nel modo che ci piace. Siamo onesti e orgogliosi di quello che proponiamo, se poi ci dicono che siamo anacronistici a noi va bene, sai quante volte ci siamo ritrovati davanti a manager o agenzie che ci proponevano di cambiare e diventare più moderni? Quante volte ci hanno detto che non andavano bene? Non ci siamo mai arresi, continuiamo ostinatamente nelle nostre convinzioni, non siamo delle scimmie addestrate ma dei musicisti che hanno una logica e una filosofia cui crediamo ciecamente e neanche il padre eterno ci farà cambiare, mettetevi l’anima in pace.

Dieci anni fa usciva “Smalltown Brawlers”, 2018 “High Rollers”. Come vi vedete da qui ai prossimi dieci anni?

Difficile dirlo, ma quello che so è che la carica che avevamo ai tempi di “Smalltown Brawlers” è ancora viva, c’è ancora lo stupore e la voglia di scrivere, registrare, mettersi in gioco. Fino a quando ci sarà questa scintilla, questa voglia di sbattersi e divertirsi i Bad Bones esisteranno e saranno protagonisti del loro destino, arrivare e superare i 10 anni di storia per una band underground è davvero un grandissimo risultato e ci riteniamo orgogliosi e allo stesso tempo fortunati.

Bene ragazzi, vi ringrazio per la disponibilità e lascio a voi le ultima parole per un messaggio ai nostri lettori. A presto!

Grazie mille Metal in Italy, grazie per il sostegno che ci date e che date alla scena, ringrazio chi leggerà questa intervista e magari andrà ad ascoltare qualcosa, ringrazio chi ci segue da sempre e ci dimostra affetto anno dopo anno. Grazie a chi ama ancora ascoltare un album intero dall’inizio alla fine, a chi va ai concerti, a chi li organizza investendo e anche rimettendoci e un grazie ai tanti bravi musicisti che abbiamo incontrato in questi anni e con i quali abbiamo condiviso palchi e serate. Il rock è passione e mai, come oggi, è messo alla prova, ma credetemi, sta per tornare.