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Crisis In Vain: “Nero” – Recensione

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crisis in vain

Deathcore, groove a vagonate, elementi progressivi ed inserimenti quasi fusion, il tutto condito dal cantato in italiano; questo quanto emerge dall’ascolto dell’Ep “Nero” dei Crisis In Vain.

La band di Pordenone nasce nel 2009 e pubblica nel 2012 il primo Ep “Apeiron”, negli anni che li separano dall’uscita della release di cui parliamo oggi, i Nostri hanno cercato di rendere personale la proposta musicale, inserendo elementi stilistici che potessero renderli riconoscibili. Tra questi a spiccare è sicuramente il cantato in italiano di Tommaso Bolzonello, il quale alterna liriche abrasive ad altre più melodiche, a tratti recitate. Buono anche il lavoro svolto dalla sezione ritmica, con Lorenzo Lot alla batteria che scandisce i tempi di quattro brani aggressivi e potenti, così come il basso di Joshua Sandruck contribuisce a rendere il suono può corposo.

Nel quadro generale svolgono sicuramente un ruolo fondamentale le chitarre di Federico Casagrande ed Emanuele Cianfarani, i cui riff, spesso dal sapore djent, chiudono il cerchio intorno ad una formula abbastanza solida e convincente. Rimanendo in tema, bisogna accennare anche alla componente solista delle chitarre, mai eccessiva e banale, che impreziosisce delle composizioni già di buon livello, come nell’ opener “Rotta Verso Casa”. Purtroppo il riffing pare in alcune situazioni ancorato a soluzioni che si ripetono, o che comunque seguono dei pattern ben definiti e declinati semplicemente con diverse sfumature.

Da apprezzare la componente Mathcore che emerge in alcuni frangenti, come ad esempio nell’incipit di “Finché Morte Non Ci Separi”, brano che perde però di intensità nelle battute rallentate intorno al minuto e mezzo. Anche nella seguente “Cristopher, Ora Ti Senti Solo” a convincere sono i passaggi più indiavolati, nervosi ed adrenalinici insieme all’apertura melodica decisamente azzeccata, mentre i breakdown andrebbero migliorati e resi più dinamici. Chiude la tracklist “Lontano” ed ancora una volta mi trovo ad annotare un frequente ricorso a strutture troppo simili tra loro, che alla lunga possono far calare l’attenzione dell’ascoltatore.

Le basi per fare bene e rendere ben riconoscibile la propria impronta ci sono tutte, basta differenziare il songwriting ed evitare reiterazioni di stile. Non è facile giudicare ascoltando quattro brani, attendiamo la prova sulla lunga distanza ed un’ulteriore maturazione. Per ora le premesse sono buone e faranno la felicità degli amanti di questo genere.