Home Recensioni Forgotten Land: “Omnia Fert Aetas”

Forgotten Land: “Omnia Fert Aetas”

SHARE
forgotten land omnia fert aetas

La viking black metal band lombarda, Forgotten Land, propone il seguito dell’album di debutto, uscito nel 2009, “In Regno Langobardorum”, con questo lavoro dal titolo “Omnia Fert Aetas”, disco, nel complesso, di buona qualità e formato da interessanti contenuti musicali.

Se nominiamo il termine viking-black o folk-viking metal, la memoria ci indirizza prontamente su nomi che hanno fatto la fortuna di tal genere, come Moonsorrow od i titolati Falkenbach. Con quest’ album la band, proveniente dalla provincia di Como, ha saputo ben coniugare e mettere in pratica gli insegnamenti e gli spunti ispirati dai sopra citati artisti, avendo, per altro, il merito di saper proporre pezzi che, oltre a possedere convincenti strutture compositive, in cui troviamo distorsioni sporche e secche, tipicamente black metal, alternate a fasi acustiche o sonorità propriamente più heavy, presentano l’originalità di essere proposti mediante testi in dialetto lombardo.

L’inizio acustico col quale prende il via la prima traccia “Canturium” è il giusto intro in un’opera che sembra davvero portarci in un’atmosfera di ammirabile, alcoolica rozzezza. Il brano in questione, inno alla città medievale di Cantù, prende forma con la tipica linearità delle composizioni folk, in cui la voce propone le sue parti mediante uno scream che ricorda lo stile del singer dei Wintersun, Jari Mäenpää. Anche le variazioni ed i blast beats qui presenti sono arricchiti da buone parti di chitarre e (finalmente) udibili parti di basso, intermezzate, a loro volta, da azzeccate parti di chitarra acustica.

In continuità con il primo brano è la potente e saltellante “La Tana Del Cunt Carù”, dedicata ad un misterioso serial killer medievale, attivo nel paese di Carugo (Como), il quale soleva rapire e seviziare le proprie vittime all’interno delle proprie segrete, raggiungibili attraverso misteriosi cunicoli. Nell’ esecuzione di questo brano possiamo apprezzare, oltre alle tematiche stilistitiche coinvolgenti, anche delle ottime rifiniture strumentali, compreso l’immancabile intermezzo acustico. Il filo compositivo non si discosta granchè neppure per quanto riguarda il pezzo “Carcano 1160”, in cui si evoca la battaglia che vide la polazione milanese contrapporsi all’esercito di Federico Barbarossa. Ascoltando la track “Ca’ di Piagh” assaporiamo, se non altro, ritmiche maggiormente cadenzate, sonorità cupe e riffs di chitarra dal sentore heavy. Ma con “On The Way Of Valhalla”, sembra quasi che l’album si evolva e cambi sembianze; possiamo così affermare che si concluda una prima parte dell’opera, a favore di una seconda, formata da composizioni che comprendono sfumature maggiormente death e meno “saltellanti”. Nella traccia sopra citata, va sottolineata, per giunta, anche una parte vocale in chiaro.

L’ultimo frangente dell’album, in ogni caso, è contrassegnato da sonorità più decise, nonchè da testi in inglese; tra le tracce in questione possiamo porre l’accento su “Anno Domini 774” (anno della conquista della Lombardia da parte dell’Imperatore Carlomagno) song dalle sonorità spiccatamente folk death in stile scandinavo, nella quale anche l’uso della voce è maggiormente acido e vede il prolungamento sdegnoso delle note finali. Dai contenuti più marziali è la track “Tyr”, il cui ritornello è affidato ad un coro epicamente strutturato, mentre l’ultimo atto del disco è l’epic heavy song “Drakkar’s Return”, nel cui avvio possiamo scorgere sfumature compositive dal sentore Manowar style. Quest’ultimo brano, ci offre, nel suo evolversi, anche altri spunti sonori, tali da farci avanzare i termini di paragone appena citati, seppure la modalità propositiva resti fermamente ancorata ad un esposizione viking, così com’è udibile nella maggior parte di “Omnia Fert Aetas”.

Che il genere in questione piaccia o meno, va inconfutabilmente preso atto che il lavoro proposto da questa band è ben suonato e sicuramente non dispiacerà agli amanti del genere. In ogni caso, le tematiche trattate offrono molti spunti di carattere culturale ed i Forgotten Land, anche per tale aspetto, meritano un plauso. Per quanto concerne il prodotto musicale in senso stretto, possiamo aspettarci, per il futuro, un pizzico di varietà compositiva in più, sperando, per altro, di assistere all’ascolto di materiale prodotto con maggior cura. Sicuramente da tenere d’occhio.