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If I Die Today: “Cursed” – Recensione

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Le ottime referenze arrivate negli anni passati dagli Usa e da alcuni paesi europei fanno sì che l’orecchio sia particolarmente attento e critico.
Il nuovo album degli If I Die Today, giovane band da quel di Mondovì, è uno schiaffo in faccia e per far contenti i cristiani (nel senso propriamente biblico del termine) la band spinge automaticamente a porre l’altra guancia, perchè mai nessuno schiaffo è stato tanto piacevole.
Ecco “Cursed“: l’album che se vogliamo segna la svolta, anche stilistica, dei piemontesi. Basta con l’insicurezza adolescenziale di “You Are Alone” (2009); basta con i tentennamenti di “Postcards From The Abyss” (2012). Qui la band si presenta sotto una nuova veste, matura e potente, un serpente che ha lasciato la sua pelle tra i rovi ed ha continuato a strisciare. Un “maleficio”? No. Una benedizione per questi ragazzi che, come succede a pochi, sono riusciti nel migliorarsi produzione dopo produzione.
Dal più acerbo metalcore con sfumature punk, oggi gli If I Die Today propongono un post hardcore dove il concetto di base è: nessuna pietà.
La voce di Fresia è una mitragliatrice, non ci sono pause o momenti in cui ci si possa permettere di sedersi e respirare. Il nuovo corso è iniziato. Anche dal punto di vista della scelta di un concept di matrice storico/religiosa.

Apre le danze “Jesus”… e di reverenziale non c’è proprio nulla. Anzi, qui la sfrontatezza e d’ordine.
Ciò che colpisce è come in tutti e nove i brani che compongono “Cursed” l’intensità vocale sia continua, con uno screaming esasperato e graffiante, poco incline a lasciare spazio a pause melodiche che renderebbero più “commerciale” i pezzi. Ci pensano allora le chitarre a fare da accompagnamento musicale, creando un anello di congiunzione con riff dal sapore hard rock, come accade in “Adams”. Un leit motiv che si ripete anche nei brani successivi e che racchiude un po’ la formula vincente del nuovo sound della band.
L’unico rischio che gli If I Die Today corrono con questo lavoro è quello di sembrare ripetitivi, proprio a fronte di una scelta stilistica che li ha portati a puntare tutto sull’aggressività vocale, cosa che tra l’altro allo screamer esce divinamente. Ma volendo essere puntigliosi il costrutto schitarrata-screaming-schitarrata alla lunga rischia di diventare un refrain ripetitivo.
Fortunatamente con “The Ancient Mariner” al costrutto base viene aggiunta anche una base corale che regala al pezzo, e quindi alla musica della band, una nuova sfaccettatura seppur nell’insieme del turbine dell’hardcore. Cosa che viene confermata nella titletrack che chiude l’album. Il tutto ha inizio in maniera sommessa e questa volta gli sprazzi melodici sono quella luce che illumina il cammino dei “maledetti”. Un’ulteriore faccia che svela forse lo step successivo della band: un black/doom metal con il quale il gruppo potrà sbizzarrirsi per la prossima release, stupendo ancora una volta quanti li hanno seguiti ed apprezzati fino a questo momento.