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INNO: “Ognuno di noi ha i suoi demoni, ma si guarda bene dal rivelarli”

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Esordio col botto quello degli INNO, che vedono tra le proprie fila musicisti noti della scena italiana ed internazionale, come Elisabetta Marchetti (ex Stormlord, ex Riti Occulti) alla voce, Piano, Chitarra Acustica, Cristiano Trionfera (ex Fleshgod Apocalypse) Chitarra Ritmica e Solista, Marco Mastrobuono (Hour Of Penance, Coffin Birth) al Basso e Giuseppe Orlando (ex Novembre, The Foreshadowing, Airlines of Terror) alla Batteria e Percussioni. “The Rain Under”, uscito per Time To Kill Records, è un album che ha convinto fan e critica, dimostrando quanto questi musicisti siano versatili ed in grado di esprimere il proprio gusto musicale anche in ambiti non propriamente estremi, qui infatti ci muoviamo tra sonorità Gothic/Doom. Abbiamo intervistato la band, che ci racconta il percorso musicale e compositivo che ha portato alla pubblicazione del debut album…rivelandoci che è già in lavorazione il secondo capitolo.

Ciao Ragazzi, benvenuti sulle pagine di Metal In Italy. Gli INNO sono costituiti da pesi massimi del Metal italiano. Come è nata l’idea e da chi è partita l’iniziativa?

Marco: Mettere su una band totalmente diversa da quello che avevo suonato negli ultimi 10/15 anni era qualcosa che volevo fare da un pò, ma stavo cercando il momento e soprattutto le persone giuste per poter fare qualcosa che reputassi valido.
 Giuseppe è il fonico live della mia band, gli Hour Of Penance, e ho sempre avuto una grandissima stima per lui e il suo modo di suonare, parlando del più e del meno in furgone durante un viaggio mi è uscito un “Giuseppe, facciamo un gruppo insieme?” e quando mi ha risposto “Si!”, ho capito che quello era il momento giusto per fare sul serio.
Proprio in quel periodo Cristiano, che aveva da poco lasciato l’attività live dei Fleshgod Apocalypse, stava diventando il mio vicino di casa, quindi tutto sembrava concatenarsi al momento giusto.
La possibilità di avere Elisabetta alla voce è stata un’ulteriore passo avanti, anche lei veniva da generi molto diversi e meno “raffinati”, ma come noi ha accettato la sfida di reinventare il suo modo di cantare per dare un enorme contributo ai brani.

Sin dal debutto social, prima che discografico, la band ha suscitato grande interesse da parte degli ascoltatori, vista la caratura della formazione. Avete avvertito qualche forma di pressione viste le aspettative del pubblico?

Marco: Solitamente non mi faccio mai questo tipo di problemi. Eravamo consapevoli che visti i generi molto diversi da cui provenivamo probabilmente qualcuno si sarebbe aspettato un sound diverso, molto più estremo, ma la nostra intenzione era di allontanarci completamente dalle precedenti esperienze, se poi questo ha suscitato un maggiore interesse ne siamo solo che felici e non vediamo l’ora di proporre anche nuovo materiale.

“The Rain Under” ha una direzione stilistica che si discosta dalle vostre passate esperienze, sicuramente ben più estreme. Perché avete deciso di cimentarvi in qualcosa di diverso?

Marco: Il primo obiettivo è stato quello di scrivere bella musica, perchè è vero che abbiamo tutti una lunga esperienza alle spalle, ma sia io che Cristiano venivamo da generi musicali lontanissimi da quello che volevamo diventasse INNO, e volevamo essere soddisfatti al 100% di quello che stavamo scrivendo. Nonostante avessimo sempre suonato musica estrema, da ascoltatori siamo sempre stati fan di questo sound, e in generale di tutta la scena gothic/doom nord europea.

Rimanendo in tema: qual è stato il vostro approccio alla composizione? Come sono nati i pezzi? 

Cristiano: il processo di scrittura dei pezzi si è svolto in modo estremamente naturale. Io e Marco ci siamo seduti al computer un giorno con una chitarra in mano, senza particolari aspettative, e fin da subito ci siamo resi conto di avere una gran quantità di belle idee utilizzabili. Ci ha sorpresi la fluidità con cui siamo riusciti dall’inizio a mettere insieme le parti. La maggior parte dei pezzi l’ abbiamo scritta noi due, poi Giuseppe si è aggiunto, a volte a completamento, altre portando idee nuove. Insieme abbiamo pian piano scolpito i 9 brani. Nel frattempo, appena avevamo una bozza decente di un pezzo, lo passavamo a Elisabetta, che ce lo riportava con linee vocali e testi, su cui poi abbiamo lavorato tutti insieme a rifinitura e per dare al disco il sound che avevamo in mente.

Conoscendo ognuno di voi so bene quanto siete pignoli nel vostro lavoro, a mio avviso è un aspetto importante per non lasciare nulla al caso ed offrire un prodotto valido. È stato facile o difficile trovare un punto di accordo su ogni brano?

Elisabetta: È stato difficilissimo! No, scherzi a parte, chiaramente essere pignoli in fase compositiva per quanto possa essere faticoso ripaga sicuramente di un ottimo risultato. A maggior ragione avendo tutti un minimo di esperienza alle spalle sarebbe stato controproducente presentarsi con un lavoro non curato al dettaglio. Chiramente poi entra in gioco il gusto personale, ma siamo convinti che chi è fan del genere riuscirà ad apprezzare “The Rain Under”.

“Pale Dead Sky” è stato il vostro primo video. Come mai la scelta è ricaduta proprio su questa traccia? Per quanto riguarda il video, come è stato girarlo? Cosa raccontano le immagini? 

Elisabetta: “Pale Dead Sky” è stata scelta perché è il brano che meglio rappresenta il percorso musicale che abbiamo intrapreso in tutto il disco, riassumendo tutte le influenze, sonorità e emozioni che volevamo trasmettere. Martina di Sanda Movies è riuscita a catturare perfettamente l’essenza della band e ha messo su video la rappresentazione di tutto questo, le immagini raccontano di un mondo onirico, in cui tutte le emozioni, come la tristezza e la malinconia hanno il sopravvento.

Sono rimasto piacevolmente colpito dal l’artwork, semplice, emblematico, evocativo, si adatta bene al mood del disco.Cosa rappresenta per voi?

Giuseppe: Volevamo un’immagine che rappresentasse l’ambivalenza del titolo. La pioggia e il regno sotto, entrambi simboli di angoscia, tristezza e decadenza il più delle volte celati da una “normalità” quotidiana. Ognuno di noi ha i suoi demoni ma si guarda bene dal rivelarli, sopratutto a se stesso. Questi sono causa di malessere che vuoi o non vuoi si rispecchia anche nella società ma che ti colpiscono proprio in quei momenti quando sei più vulnerabile! Per realizzare tutto questo è stato fondamentale il lavoro di Francesco Castaldo (DeclineDesign) che ha subito colto le nostre intenzioni mettendole su immagini. Noi avevamo varie idee ma in un certo senso difficili da realizzare ma lui da buon professionista ci ha stupito cogliendo il lato evocativo e suggerendoci questa soluzione.

Nel sound degli Inno sono evidenti le influenze musicali presenti. Secondo voi per fare un ottimo disco bisogna essere per forza degli innovatori?

Giuseppe: È veramente difficile essere innovatori oggi, ma secondo me la cosa più importante è avere la propria personalità! Puoi far parte di un genere ma se sei riconoscibile e la tua musica rispecchia i tuoi stati d’animo raggiungi l’obiettivo! Non so se ci siamo riusciti ma credo che questo sia un ottimo inizio. Durante il processo di composizione certe volte ci chiedevamo se questa o quella parte non rimandassero troppo a questo o a quel gruppo ma più si formavano, più ognuno metteva del suo, più i pezzi cominciavano a funzionare. Per dare seguito ad una domanda precedente per esempio Pale Dead Sky che credo sia stato l’ultimo pezzo che abbiamo scritto è secondo me anche il più originale/personale.

L’album è uscito in un momento delicato a livello mondiale, so che ci sono questioni più gravi legate al Covid-19, visti i decessi. Ma credete che la situazione abbia penalizzato in qualche modo la promozione dell’album? 

Marco: Fortunatamente no, anzi paradossalmente molte persone costrette a casa stanno cercando e scoprendo nuova musica, e siamo stati piacevolmente sorpresi dai risultati raggiunti. Siamo comunque una band “nuova” con un primo disco in uscita e non ci aspettavamo un riscontro tanto positivo sia per il video che per le vendite del disco.

Rimanendo in tema, una volta terminata l’emergenza riusciremo a vedervi all’opera dal vivo? 

Elisabetta: Non vediamo l’ora! Avevamo programmato alcuni concerti per quest’estate ma ovviamente, causa di forza maggiore, non crediamo sarà possibile. Nel mentre stiamo sfruttando questo tempo a disposizione per portarci avanti sulla scrittura del nuovo disco.

Bene ragazzi, vi ringrazio per l’intervista, lascio a voi l’ultima parola per un messaggio ai nostri lettori. A presto!

Cristiano: grazie a te e a voi. È davvero importante per noi sapere di poter raggiungere le persone con la nostra musica. Le canzoni che compongono The Rain Under vengono dritte dal profondo del nostro universo interiore e questo disco ha un valore molto particolare per noi quattro, essendo il prodotto di un progetto nato con enorme spontaneità e naturalezza. Mentre scrivevamo, cercavamo di pensare solo al messaggio e alla connessione interiore che potesse portare. Quello che speriamo è che possa toccarvi e magari possiate anche riconoscervi nei panorami che abbiamo cercato di descrivere nei pezzi. Sono sicuro di parlare per tutti nell’affermare che, soprattutto in questo momento assurdo, la musica ha la capacità di tenerci umani.
Ci vedremo molto presto, abbiate fede!

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