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Interceptor: “Wise Is The Beast…But The Hunter Doesn’t Know” – Recensione

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Interceptor

Vi piace il Thrash metal vecchia scuola degli anni Ottanta? Se la risposta è affermativa, in “Wise is the beast…but the Hunter doesn’t know”, primo full lenght album degli Interceptor pubblicato dalla Stormspell Records, troverete ciò che fa al caso vostro, altrimenti dirottate le vostre brame e i vostri padiglioni auricolari verso altri lidi.

Qui c’è tutto quello che il genere pretende che ci sia: velocità, aggressività, riff al fulmicotone, cori “effetto stadio”, solos chirurgici e massicce dosi di acida melodia. Cosa manca? Lo spunto originale, l’elemento fuori dal coro, la maglia rotta nella rete, il neo che ti costringe a focalizzare l’attenzione sul particolare, distogliendo, almeno per un attimo, lo sguardo dal contesto generale. È una pecca grave? No, se ci si accontenta di ascoltare un disco di Trash old school ben suonato, ben prodotto, ben composto e ben arrangiato, ma canonico e scolastico.

Dopo una intro dal vago sapore epico, l’album inizia con “Sturm Und Drang”, vera tempesta e assalto di metallo fuso sparato a grande velocità, dominata da riff vorticosi e dalla bella voce del cantante, acida e tagliente quanto basta per riportarci indietro nel tempo di trenta anni. Discorso simile per la successiva “Insane By Wrath”, song che si distingue per una parte centrale rallentata e spesso in doppia cassa e un assolo tanto rapido quanto incisivo. “Flag Of The Fallin’ Peace” ribadisce la volontà dei nostri: riprodurre fedelmente, anche nell’affilata produzione, le gesta degli eroi di quella fantastica stagione di tanti anni fa, inserendo addirittura, come accadeva spesso nel passato, una parte solista che riproduce in maniera distorta un famoso inno nazionale, questa volta quello statunitense. Tutto ciò ha prodotto in me un deja-vu visivo e sonoro e da luoghi reconditi della mia memoria sono emersi due nomi e due dischi a me cari: Sodom e Accept, “Persecution Mania” e “Metal Heart”; ma lasciamo stare e procediamo con l’ascolto degli Interceptor.

La canzone successiva è “Cryptonomicon”, basata su un coro a più voci che si scontra con le parti del vocalist e con una sezione centrale sorretta da una roboante cavalcata che precede l’esplosivo assolo di chitarra, mentre “Steelbreaker” è probabilmente la più veloce del lotto, costruita su fraseggi chitarristici dal forte gusto melodico e dominata da ritmiche ossessive e martellanti. Dopo “Remember”, il classico intermezzo che gioca sul contrasto arpeggio/solos chitarristici, si arriva alla title track, che non sposta di una virgola il discorso: vocals grintose, ritmi e riff serrati, parti soliste scarne, essenziali e fulminee, rallentamento centrale. “To Be Is Not” è piacevole, sorretta da un buon lavoro del batterista, che usa spesso la doppia cassa per sottolineare ancora una volta l’aggressività della band, in questo frangente accentuata da ottime cavalcate e fraseggi melodici delle chitarre. Le due canzoni conclusive sono “Fortuna Meretrix” e “Me And My Wine”, cover dei Def Leppard. La prima conclude degnamente il lavoro, con una tempesta di riff e tonnellate di potenza, mentre la seconda è un buon esercizio di stile che nulla aggiunge e nulla toglie all’album.

Tirando le somme: l’album scorre via piacevolmente ma, come ho evidenziato all’inizio di questa recensione, per quanto mi riguarda risulta poco originale, personale e troppo legato al passato. Lo so, l’intenzione della band è proprio questa, ma credo che un recensore debba anche calarsi nei panni dell’avvocato del diavolo.