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Mutonia: “Blood Red Sunset”

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mutonia blood red sunset

Il percorso discografico dei laziali Mutonia è alquanto controcorrente, in quanto esordiscono direttamente con un live nel 2011, per poi incidere una demo nel 2012. Già con tale mossa questi ragazzi dimostrano, se non altro, di non uniformarsi al tipico percorso battuto dalla quasi totalità dei musicisti esordienti. La predisposizione all’originalità la si riscontra anche per quanto concerne il prodotto musicale che la band in questione propone e che possiamo apprezzare nell’album “Blood Red Sunset”.

Si tratta di uno stoner rock in stile anni ’90, in cui il suono degli strumenti è grezzo e molto retrò, in linea con le produzioni di band inserite in tale circuito ed in quello del doom classico. Anche se, in verità, si poteva osare qualcosa in più per quanto riguarda la limpidezza globale del prodotto e la produzione della voce. Numericamente, la formazione, ricalca le orme minimal a cui ci hanno abituato la maggior parte delle band presenti nel circuito di genere; si tratta di un trio composto da Prostin (chitarra & voce), Fabio (basso) e Maurizio (batteria). Gettiamoci a capofitto tra le sonorità sporche di “Blood Red Sunset” e tocchiamo con mano, o meglio con le orecchie, le fattezze del disco in questione.

L’avvio dell’album è affidato ad un intro dittatoriale (sì, sì, avete capito bene) in cui possiamo riconoscere alcune frasi tratte dai discorsi dei più celebri dittatori del mondo contemporaneo: da Fidel Castro a Mussolini, per terminare con un presidente U.S.A. che recita la frase: “Thank you. Good night and God bless America”. Tale benedizione funge da scintilla per il primo brano del lavoro; la traccia in questione si intitola “The Soldier” ed è un concentrato di rock, in cui le tematiche strutturali rispecchiano a pieno le categorie classiche. Il secondo brano “Born To Kill”, di contro, è formato da riffs decisamente più maligni, seguiti da strofe in cui la voce recita solitaria, ruvida, dura e respira su un sottofondo di batteria. Alla voce ed alla batteria, al momento del ritornello, si uniscono anche chitarra e basso ed in questo frangente, i nostri ci propongono anche uno sporco assolo di chitarra ed un altrettanto crudo solo di basso. La song “Lucky Jordan”è basata su ritmiche decisamente più sostenute, in cui i riffs e le strutture tecniche ricordano vagamente lo stile dei grandi Cathedral.

In continuità col sopra citato stile, il quale si incrocia con sfumature dal sapore vagamente sabbathiano è il pezzo “Over Limit”, nel cui corpo va sottolineato l’azzeccato collegamento formato dal binomio riff – ritornello. Nella strumentale “Planet Ass” colpisce, senza dubbio, la matrice psichedelica che anima il brano. Tale struttura cattura l’ascoltatore, mediante la ripetizione molto prolungata di parti, le quali, in seguito, subiscono l’intermezzo di chitarra. La distorsione di quest’ultima è compressa e sporca al punto giusto da dare il giusto timbro a ciò che vuole essere il fulcro centrale della composizione. Nella track “Death Master” colpisce la matrice compositiva di chiaro stampo anni ’90, in cui si possono riscontrare accenni stilistici dei defunti Sonic Youth, per quanto proposto dalle linee di chitarra, mentre la struttura generale strizza l’occhio ad alcune variazioni dal sapore punk, seppure l’anima stoner sembra, in qualche modo, contaminata da un pizzico di sonorità grunge. Scorgendo l’album, bisogna soffermarsi sulla track “Otium”, in cui si riscontra una varietà stilistica molto interessante. Gli spunti cui attingono i Mutonia, in questo brano, spaziano tra le contaminazioni puramente stoner rock ed arrangiamenti dagli accenni in stile classic doom, ove anche i tom della batteria fanno tornare alla mente sonorità anni 80. Tali rimandi sonori di altri tempi, possiamo ascoltarli anche tra le note di “Rage”, ma è soprattutto nel pezzo che dà il titolo all’intero lavoro (Blood Red Sunset, appunto) che possiamo riscontrare il massimo sforzo nell’attuazione di un appeal sonoro dannatamente classic doom. Qui possiamo riconoscere ritmiche e strutture compositive degne di paragone con quelle prodotte da alcune grandi band del passato. Questo brano è il giusto mix di quanto di meglio abbiamo potuto conoscere nell’ambito dello stoner e doom rock, con riffs, ritmiche ed arrangiamenti strumentali più che convincenti. Come accennato, i paragoni balzano prepotentemente all’orecchio: Saint Vitus e Pentagram per quanto riguarda la caratura generale, mentre le parti di basso ricordano una certa “Dead Again” di una certa band che ha fatto la storia: Type O Negative vi dice niente?

Il disco si chiude con le note di “Towahend”, song dalle sonorità ambient, in cui l’uso di percussioni e voce sussurrata, rappresentano la caratteristica principale che accompagna all’epilogo dell’ intera opera. L’album, in generale, è un lavoro di buone fattezze ed è in perfetta continuità con quanto ci si aspetta in termini di genere specifico. L’uso delle distorsioni sporche e compresse e delle sonorità minimal, così come il timbro vocale, quest’ultimo anche originale in alcuni passaggi, ma che, a mio parere, necessità di maggior cura, fanno di “Blood Red Sunset” un album apprezzabile, sia per chi ama lo stoner rock, ma anche per chi ha l’orecchio preposto al doom metal o non disdegna influenze punk grunge anni ’90.

Purtroppo le composizioni soffrono per la mancanza di una certa personalità, che vista la giovane età, ma anche la grande capacità dei musicisti, riteniamo possa essere acquisita con facilità nel corso degli anni. Le sonorità e le strutture compositive, proprie del genere, sono molto convincenti. In termine di critica non c’è nient’altro da aggiungere al lavoro dei Mutonia, se non che la direzione intrapresa sia quella giusta.