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New Disorder: “Straight To The Pain” – Recensione

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Il curioso caso dei New Disorder… Rispettando appieno il significato del moniker, la band romana mischia le carte in tavola e lascia per terra cocci e cartacce, anche se la confusione è mentale.
Ascoltando l’album “Straight To The Pain” si è avvolti dalla sensazione che il disco sia stato scritto o da persone diverse o, addirittura, in momenti completamente diversi. Il punto è che dalla seconda parte del disco in poi, l’approccio alla scrittura musicale cambia di netto. Abbiamo infatti un primo blocco decisamente più immaturo e poco ragionato, mentre il secondo riesce ad essere addirittura sofisticato, dove la band potenzia e sviluppa quelli che sono i suoi punti di forza.
Quali sono le prove che danno forza a questa teoria?
Dunque: l’intro strumentale “Into The Pain” è anche valida, peccato però che s’interrompa così, all’improvviso…
Certo, viene ripresa nella track immediatamente successiva “Never Too Late To Die”, ma se si è costretti a premere “play” o se si ascolta il disco in modalità “shuffle”, il risultato è veramente di scarsa qualità.
Un’altra particolarità non proprio brillante di “Straight To The Pain” è la stessa titletrack. Qui i New Disorder aggiungono la potenza del soprano, ma la parte lirica a mio modestissimo avviso, avrebbe dovuto tenersi su una linea singola. In effetti, succede nel finale, ma l’effetto, sempre a mio modestissimo avviso, è sbagliato perchè il “duetto” diventa fastidioso.

All’improvviso però ecco il “new disorder”!
Arriva “Lost In London”, gran bel pezzo. Buono il songwriting, si vede che ai ragazzi piace scrivere e questo brano alza notevolmente la media dell’album.
Personalmente trovo “Love Skills Anyway” la traccia migliore perchè la più completa e piacevole nel refrain.
Bella anche “The Perfect Time”: una rock ballad dove la voce si adatta perfettamente alle linee musicali.
In “The Beholder” ci sono addirittura velature ed accenni di doom nel finale, segno che ai New Disorder piace sperimentare, anche senza un filo conduttore (e a tal proposito aggiungo pure che il genere “alternative metal” che la band si propone di suonare, non credo sia l’esatta dicitura).
A riprova del fatto che anche la band ritenga “Lost In London” uno dei pezzi di punta, ci pensa l’inserimento in tracklist del brano in acustico e sbirciando tra le ultime performance, pare che il set voce e chitarra sia loro particolarmente congeniale.
Probabilmente è questa la chiave per il futuro: essere completamente sè stessi senza cimentarsi in grosse sperimentazioni che rischiano di essere inconcludenti.
La materia prima c’è. Li aspettiamo al varco al prossimo disco.