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No Man Eyes: “Meno tecnicismi e più desiderio di emozionare”

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Freschi di contratto con Buil2Kil Records e con un nuovo album, il terzo, uscito da poco, abbiamo approfondito con i No Man Eyes “Harness The Sun”. Un concept album fantascientifico che continua nel solco dei precedenti, ma allo stesso tempo vede una evoluzione della band che mira più a creare emozioni che a sfoggiare tecnicismi.

Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di Metal In Italy. Iniziamo questa intervista con una breve presentazione dei No Man Eyes. Quali sono le tappe fondamentali della vostra carriera?

Buongiorno a tutti voi! Dunque, i No Man Eyes nascono ufficialmente nel 2012, fondati da me (Andrew Spane, chitarrista) e da Michele Pintus (batteria). Dopo qualche cambio di lineup ci siamo assestati su una formazione stabile con il coinvolgimento di Fabio Carmotti alla voce e Alessandro Asborno al basso. Prima di “Harness the Sun” abbiamo pubblicato due full length, “Hollow Man” (edito da Mighty Music nel 2013) e “Cosmogony” (uscito nel 2016 per Diamonds Prod. Records). Successivamente Michele è uscito dal progetto per trasferirsi in Sardegna, abbiamo collaborato a distanza per un po’ ma le cose non funzionavano al 100%, nonostante ci legasse una grande amicizia e la voglia di continuare a fare musica insieme. Una volta ufficializzata la sua uscita abbiamo collaborato per un po’ con Luca Ghiglione (Winterage) e con altri drummer ma abbiamo faticato a trovare un membro stabile. Nel frattempo lavoravamo a “Harness the Sun” sperando di poterlo pubblicare una volta risolti i problemi, e quel giorno è finalmente arrivato grazie all’ingresso di Tony Anzaldi, batterista dei No Man Eyes dal 2019. Purtroppo il COVID non ci ha aiutati e abbiamo dovuto ulteriormente rallentare, ma va bene così… per fare le cose bene ci vuole pazienza!

Recentemente è uscito il vostro terzo album “Harness The Sun”. Quali sono le tematiche trattate? So che si tratta di una storia di fantascienza, ma vorrei che foste voi a raccontarla ai nostri lettori.

Il disco è a tutti gli effetti un concept fantascientifico, ambientato in un futuro non vicinissimo ricco di tecnologia e di problemi. L’umanità ha creato attorno al Sole una “sfera di Dyson”, ossia una struttura orbitante la cui funzione è estrarre l’energia della stella per soddisfare il fabbisogno energetico del nostro pianeta. I continui malfunzionamenti obbligano a inviare un umano anziché gli androidi, di cui l’umanità oramai si serve per tutti i lavori pesanti in ambienti estremi, in quanto quest’ultimi sono soggetti a continue disattivazioni. Tocca quindi a William Cooper (doppia citazione… una birra al prossimo concerto al primo che azzecca i riferimenti!) interpretato da Fabio, e al suo androide ISAAC (Claudio Canovi, Aurea – qui il riferimento è più identificabile) recarsi sulla stazione e capire cosa non va. Una volta giunti sul posto, mentre ISAAC osserva la situazione dalla nave, William è vittima di un incidente e si trova a fluttuare nello spazio, inesorabilmente attratto dalla gravità della stella e immerso nelle mortali radiazioni solari. La fine sembra vicina… ma William non viene vaporizzato. Al contrario, protetto da una bolla di energia viene risucchiato nel Sole dove fa la conoscenza di un’entità cosmica, Viracocha (Silvia Criscenzo – Guzuta, Marmotte d’Acciaio), che gli farà importanti rivelazioni sul futuro del sistema solare. Si scoprirà poi che ISAAC ha un lato oscuro che lo porterà ad agire in un certo modo… ma l’interazione tra i tre personaggi darà una conclusione soddisfacente alla storia, sancirà la fiducia tra umani e macchine e farà comprendere come la vita possa essere nascosta nei luoghi più improbabili, dando un tocco di ‘divinità’ all’intero cosmo.

Dal punto di vista compositivo e di stile, quali sono le differenze rispetto al precedente “Cosmogony”?

Innanzi tutto è un disco meno spinto ma ugualmente “pesante”, Cosmogony aveva molti brani al limite del tech death in quanto Michele (all’epoca anche nei Mechanical God Creation) aveva quell’impronta. Mentre componevamo Harness abbiamo invece optato per un approccio più equilibrato ai brani abbassando i BPM, primariamente perché volevamo raccontare una storia fatta di pensieri e sensazioni intime, con l’inclusione di parti più lente e suggestive. L’ingresso di Tony si è rivelato un’ottima scelta, in quanto batterista fusion con la passione per il metal che sa andare forte ma anche piano, ed è pertanto stato ideale per la realizzazione di questo lavoro.
Per quanto riguarda la musica invece siamo su un terreno simile a Cosmogony. Le composizioni sono sempre abbastanza personali; negli ascolti cerco sempre di non assimilare troppo questo o quello stile e voglio mantenermi ‘distaccato’ per non scrivere dischi involontariamente simili ad altri. Ovviamente ci sono sempre riff ispirati a capisaldi del genere (Nevermore, Symphony X, Gamma Ray in primis) e assoli neoclassici (il primo amore svedese non si scorda mai…), ma sono convinto che ci sia una certa originalità nelle musiche che traspare anche molto dalle linee vocali.

Dopo il 2016 ci sono stati cambi di line-up ed uno stop all’attività live. Successivamente la macchina si è rimessa in moto…come sono cambiati i No Man Eyes in questi anni?

I No Man Eyes sono indubbiamente cambiati molto, c’è sicuramente più maturità, meno voglia di spingere su tecnicismi ma piuttosto più desiderio di emozionare, di costruire qualcosa che porti un messaggio vero e di farlo comprendere al nostro pubblico.
Sul versante tecnico, dopo anni di concerti con le tastiere in base, complici anche alcuni problemi tecnici sopraggiunti negli ultimi live, abbiamo deciso di espandere la lineup e di inserire un vero tastierista in pianta stabile. Al momento stiamo collaborando con un tastierista genovese e speriamo di ufficializzare la collaborazione a breve, portando in sede live delle atmosfere più complesse e una maggior pienezza del sound.

Tornando ad “Harness The Sun”, sebbene sia un concept album, c’è un brano (o più di uno) del quale siete particolarmente soddisfatti?

Alla fine i brani che componi sono come figli ed è difficile dire quali siano i tuoi preferiti! Oltretutto è importante assicurarsi che ciascuno di essi abbia dei punti di forza e nel tempo ti affezioni a tanti grandi e piccoli particolari. Per esempio adoro la serrata ‘Craving Tomorrow’, dedicata a Michele (il titolo era stato originariamente la sua proposta per il nome della band!), le atmosfere intime di I am Alive, la compattezza di “Harness the Sun” e la complessità di Son of Man, brano mutevole con un ritornello emozionante, le atmosfere della ballad acustica “When Life Goes Away”. Sono particolarmente soddisfatto anche delle performance degli ospiti (oltre ai già citati cantanti, abbiamo dei soli di tastiera realizzati da Gabriele “Gabriels” Crisafulli e Dave Garbarino, tra l’altro anche cantante degli amici Mindlight), che hanno dato varietà e complessità al tutto per un risultato che al momento ci sembra essere il migliore che abbiamo mai realizzato.

L’uscita dell’album è arrivata dopo la firma con Buil2Kil Records. Perché la scelta è ricaduta su questa etichetta?

La Buil2Kill Records è “figlia” dei Sadist. Essere seguiti da persone con questo livello d’esperienza è un grande valore aggiunto che abbiamo ritenuto essere un’ottima scelta, sia per la promozione capillare di cui sono capaci, sia per il fatto che sono organizzatori di numerosi eventi che danno grande visibilità alle band partecipanti. Trevor e Federico Gasperi (manager dei Sadist) ci stanno aiutando molto e siamo particolarmente contenti della scelta!

Per quanto riguarda l’attività live, ci sono delle date già pronte o in fase di definizione?

Abbiamo alcune date in via di definizione, ma devo dire che la situazione per la musica live non è molto incoraggiante, forse anche perché figlia di anni in cui i contatti virtuali hanno inesorabilmente sostituito quelli reali. Anni fa qui in Liguria c’erano decine di locali che ospitavano band con repertorio originale, mentre ora gli spazi per il nostro genere sono pochissimi e molto contesi da tutte le band della zona. Non è facile! Ma non accuso nessuno, anzi faccio anche un mea culpa – complice la famiglia e le responsabilità non sempre riesco a presenziare come vorrei a tanti eventi locali. La strada potrebbe essere affidarsi ad agenzie e promoter per suonare in contesti più strutturati e organizzati, se ci fosse qualcuno all’ascolto mettetevi in contatto con noi e qualcosa ne uscirà.

Quali sono secondo voi gli elementi che tengono insieme una band? Come si accresce l’affiatamento tra i vari membri?

Penso che in primis ciascun membro si debba sentire valorizzato e importante, responsabilizzato e libero di proporre le sue parti, i suoi arrangiamenti, le sue idee. Allo stesso tempo la band deve essere il più possibile democratica e ogni proposta va messa in discussione e valutata; se le idee soddisfano tutti allora si portano avanti, altrimenti si cambiano le cose. Niente di strano, ci vuole solo sensibilità e correttezza tra le persone. E non è tutto, ci vuole anche una missione, uno scopo, e una crescita continua in tutti i campi accompagnata da una buona dose di rispetto. Purtroppo parlo per esperienza diretta, e lo dico soprattutto ai musicisti giovani: quando quest’ultimo viene meno bisogna tagliare i ponti anziché trascinare situazioni che non portano a nulla. Dovete voler bene a voi stessi!

Rimanendo in tema, come nasce un brano dei No Man Eyes? C’è un iter che seguite di solito?

Solitamente componiamo una prima idea del brano, inteso come il “trittico” strofa-bridge-ritornello. Se funziona, viene trasformato in brano vero e proprio ideando una struttura completa e degli arrangiamenti curati. Infine arriva il testo, si parte con la preproduzione e il brano è nato. Lo facciamo decantare per un bel po’ di tempo chiedendoci continuamente come migliorarlo e quando ne registriamo la versione che finirà sul disco dobbiamo essere al 100% soddisfatti di tutto, riff, melodie, groove nelle varie sezioni. E soprattutto, ciascun brano ci deve emozionare, non essere un mero esercizio di tecnicismi.

Bene ragazzi, l’intervista è conclusa. Vi ringrazio per il tempo che avete dedicato a Metal In Italy e lascio a voi il compito di concluderla con un messaggio ai nostri lettori. A presto!

Grazie a voi tutti di Metal in Italy, alla nostra casa discografica Buil2Kill Records, a Trevor e Federico, agli ospiti con cui abbiamo avuto l’onore di collaborare per la realizzazione di “Harness the Sun”, a tutti coloro che ci seguono e a chi ha acquistato il nostro CD! Chi ne vuole una copia fisica può scriverci sui nostri social. Noi ci rintaniamo in studio per confezionare uno spettacolo che renda giustizia al lavoro fatto. Per ora è tutto! Enjoy! (Spane)

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