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Screaming Banshee: “Descent” – Recensione

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Dopo l’EP “The Chronicles” (2010), gli Screaming Banshee tornano a colpire con il loro debut album “Descent”, nato nel 2013. La band romana propone un misto di Death-Prog Metal, binomio particolare che ci riporta alla mente gruppi come Death o Control Denied.

I nove brani scorrono molto bene e vengono “assimilati” facilmente, merito anche delle scelte tecniche e compositive della band che non aggrediscono le orecchie dell’ascoltatore con virtuosismi continui e quant’altro ci si aspetti da una band che propone tale genere. Death e progressive si uniscono e vengono alternati tra di loro riuscendo ad infondere armonia e puro piacere d’ascolto, adatto a chi non vive solamente di assoli e cascate di note a raffica. L’album si apre con “After the nightfall”, dall’intro di musica classica si passa all’azione, blastbeat e mazzate gratuite, fino alla seconda metà del brano dove tutto prende un ritmo più moderato e grooveggiante. L’oscura “When the stars come right” parte gradualmente, venature di melodic death metal strumentale vengono a galla tra sweep e solos. “Messiah in blood” si apre e chiude in puro stile death metal, con un intermezzo progressive che spezza in due la canzone. A ritmo di pedali si apre “Winter’s runes”, brano spaccaossa senza compromessi, non c’è spazio per le pause. Non è così invece per “Gates of eternity”, che pur partendo con energia concede nella seconda metà del brano una tregua, come accade nell’occhio del ciclone, per poi tornare alla tempesta con “The cursed” che si apre con un intro di sitar per poi passare a raffiche di riff e blastate senza pietà. Completamente strumentale “Anhedonic”, che alterna scelte tecniche accattivanti e veloci a passaggi più blandi e semplici. Il penultimo brano “The cross of Nargath” tra riff taglienti e pedalate tonanti ci guida verso la conclusione dell’album con “Ghost incarnate”, il brano più lungo del disco, che ci riporta un po al death metal old school con un interpretazione personale della band.

La produzione risulta curatissima e pompata alla grande, tutto è valorizzato e cristallino, l’impronta dei 16th cellar studios di Roma è riconoscibile dai primi secondi d’ascolto. La voce è un mix di energie distruttive emanate da Alessandro Iacobellis (voce dei Lunarsea), lo scream graffia come una mazza chiodata su un armatura, mentre il growl esplode e mantiene la classica caratteristica death metal. Le chitarre taglienti come rasoi riescono a mantenere una cattiveria niente male durante i riff, mentre sui solos si addolciscono creando un bel contrasto. Il basso fa da cornice all’apocalisse, fa tremare il suolo grazie anche anche al sound carico di energia. Le pelli vengono letteralmente scartavetrate dal buon Davide Folchitto (Stormlord), che non scende di certo a compromessi. In definitiva “Descent” è un album quasi alla portata di tutti, davvero piacevole da ascoltare e mai stancante, il prossimo album pare sia in cantiere….