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Signs Preyer: “Mammoth Disorder” – Recensione

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Se avete bisogno di una dose massiccia di Southern Groove i Signs Preyer fanno al caso vostro, “Mammoth Disorder” è un concentrato di potenza grezza ed incalzante, che fa leva su riff massicci ed un cantato coinvolgente.

Questi ragazzi sono al secondo album, ma alle spalle hanno dieci anni di esperienza che viene riversata integralmente in ognuna delle otto tracce contenute nella track list. È sufficiente ascoltare l’opener “It Comes Back Real, Pt II” per capire quanta veemenza i Nostri siano in grado di riversare nelle composizioni. In questo caso l’andamento è ritmato, ricordando per qualche aspetto i Godsmack, mentre con la seguente “Homies” l’atmosfera inizia a farsi più incandescente. Arriva “I Want a Big Black Mama” e la componente Southern irrompe con tutta la sua aggressività.

Le chitarre rivestono sicuramente un ruolo fondamentale, sono dotate di distorsioni abrasive ma non eccessive, riescono a mantenere inalterata la loro natura Rock, ben si adattano alla voce sporca al punto giusto, ma che non disegna anche linee melodiche che rimangono ben impresse nella mente.

Continuando con l’ascolto l’impressione di trovarsi dinanzi ad un album ben confezionato continua ad essere rinvigorita da brani quali “Anal Fisting”, ancora una volta sulle tracce dei Godsmack, “BBQ Sauce” dall’incedere strisciante, ipnotico e dall’anima decisamente più Rock che Metal.

Molto buona anche la prova della sezione ritmica, grazie ad un basso ben presente, facilmente riconoscibile e a un drumming possente che scandisce i tempi di brani sempre dinamici e mai uguali. “Mammoth Disorder” è un album molto piacevole, che ci consegna una band dotata di grande coesione e con le idee ben chiare, in grado di comporre otto brani tritaossa con assoluta disinvoltura.