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Stormlord: “Siamo i primi, severissimi critici di noi stessi”

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Dopo sei anni di assenza dal mercato discografico gli Stormlord sono ritornati con “Far” (Scarlet Records), un album che ha messo subito d’accordo pubblico e critica: l’attesa è stata ampiamente ripagata. Con il bassista Francesco Bucci abbiamo affrontato diverse tematiche: dalla composizione al palco, dalle moderne tecnologie di registrazione alla musica digitale, passando per la cura maniacale di ogni singolo particolare.

Ciao Francesco, benvenuto sulle pagine di Metal In Italy. Il nuovo album “Far” è fuori già da qualche mese, siete soddisfatti per i feedback ricevuti da fan e addetti ai lavori?

Più che altro siamo sbalorditi. Eravamo sicuri di avere fra le mani un album molto buono, ma, considerata la nostra assenza dalle scene e la velocità con cui le band vengono dimenticate al giorno d’oggi, c’era un certo timore di ricevere un’accoglienza tiepida.
Tutto ciò è stato spazzato via prima dalla risposta della critica, mai così positiva, e successivamente dall’affetto e dall’entusiasmo che i fan vecchi e nuovi ci hanno dimostrato sui social e nelle prime date.

Spesso le band tendono ad essere molto prolifiche, a pubblicare album, Ep, singoli a distanza anche ravvicinata. Voi invece avete atteso ben 6 anni, perché questa scelta? La gestazione di “Far” ha coperto questo lasso di tempo o la fase di composizione è iniziata in un altro momento?

L’interminabile attesa fra un disco e l’altro è una ben nota consuetudine per chi segue Stormlord, nonché una brutta abitudine di cui non cessiamo mai di scusarci ogni volta che giunge il fatidico appuntamento con la release del nuovo album.
D’altro canto, questi intervalli fuori da ogni logica di mercato testimoniano più di ogni altro proclama come gli interessi di Stormlord siano diretti esclusivamente alla massima resa qualitativa della musica che proponiamo, a discapito di ogni aspetto pragmatico e commerciale.
All’indomani di “Hesperia” ci siamo dedicati alla promozione live, poiché il palco rimane la dimensione ideale per la band, girando in lungo ed in largo per l’Italia, visitando paesi dove ancora non avevamo suonato come la Spagna e prendendo parte a qualche festival internazionale come il “Ragnarok”, il “Darktroll” ed il “Boarstream”, in particolare in terra tedesca.
Trascorso qualche anno dalla pubblicazione, ci siamo resi conto di avere da parte molte idee sparse ma pochissime canzoni complete, e questo ci ha portato a diradare la nostra attività da vivo in modo da concentrarci principalmente sulla composizione del nuovo disco.
Noi non siamo avvezzi a comporre un disco solo per avere qualcosa da buttare fuori per tenere desta l’attenzione sulla band, anche se i velocissimi tempi di consumo della musica che caratterizzano i tempi odierni non premiano una simile attitudine; piuttosto cerchiamo di rendere disponibile del nuovo materiale nel momento in cui riteniamo che questo possa aggiungere qualcosa al nostro sound (questo, almeno, nelle nostre intenzioni. Poi il giudizio finale rimane sempre quello dell’ascoltatore).
Nel frattempo la nostra vita personale, non essendo noi più dei ragazzini, ha visto avvicendarsi diversi cambiamenti causati da matrimoni, figli, nuovi lavori, traslochi e chi più ne ha, più ne metta.
Quando si suona unicamente per passione, è normale che la vita reale bussi alla porta pretendendo la priorità su ogni cosa.
Ma va bene così, è bello rimanere sorpresi, ogni volta, del caldo benvenuto che ci viene riservato da persone che non hanno mai smesso di attendere la nostra musica (persino quelle che ci hanno scoperto da pochissimo tempo). È qualcosa che non diamo mai per scontato e di cui siamo immensamente grati.

Come nasce un brano degli Stormlord? Il vostro sound è diretto e “in your face”, ma allo stesso tempo articolato, epico, grazie anche alla componente orchestrale. Seguite un iter ben preciso, o lasciate anche spazio all’improvvisazione, alla composizione in team?

Ciò che cerchiamo di ottenere è una proposta epica e bombastica che sia allo stesso tempo evocativa, ma anche perfettamente riproducibile in sede live, perché nonostante il nostro suono stratificato possa far pensare il contrario, è sul palco che gli Stormlord trovano la dimensione ideale.
Per quanto riguarda la composizione, la principale novità del nuovo materiale risiede sicuramente nel metodo di lavorazione utilizzato: se in passato avevamo quasi sempre composto i brani in sala prove, arricchendoli poi in sede di preproduzione, questa volta il grosso del processo si è svolto di fronte al computer, su materiale composto singolarmente a casa ed elaborato in seguito dal gruppo nella sua interezza, riunito ai Time Collapse Recording Studios, lo studio del nostro tastierista Riccardo Studer che ha anche curato il mix del disco insieme a Giuseppe Orlando degli Outer Sound Studios.
Questa scelta potrà suonarti piuttosto “fredda”, immagino, eppure seguendo questa metodologia siamo riusciti a sperimentare di più, lanciandoci senza riserva in tentativi e soluzioni che difficilmente avremmo potuto mettere in pratica in sala prove.
Infine, era forte in noi la volontà di dare alla luce un disco più immediato di “Hesperia”, dove la parte “Metal” venisse messa in luce quanto quella epica; in poche parole, volevamo dei pezzi capaci di rendere al massimo sia dal vivo che in studio.

Ascoltando “Far” emerge una cura dei particolari, sia nelle parti “melodico-epiche”, che in quelle pestate. Ma c’è qualcuno nella band che è decisamente “maniacale” in tal senso?

Tutti, e questo è il motivo principale per cui ci mettiamo così tanto a fare i dischi.
Per noi il “nuovo disco” non rappresenta solo un motivo per andare in tour o fare capolino sulla scena ogni tot anni. Piuttosto cerchiamo di aggiungere sempre qualcosa di nuovo e significativo a ciò che Stormlord rappresenta, veicolando la nostra visione della musica attraverso brani che possono essere immediati ad un primo ascolto ma che, il più delle volte, racchiudono una pletora di arrangiamenti che possono essere apprezzati al meglio solo dopo diversi ascolti.
Per ricollegarmi a ciò che ti dicevo prima, forse questa nostra dimensione così articolata ci danneggia sulla breve distanza, non essendo noi un prodotto da consumo immediato ma richiedendo un’attenzione che, parte del pubblico di oggi, non sempre è disposto a dare.
D’altro canto chi ci segue e ci conosce mostra di apprezzare particolarmente questa nostra ricerca sonora, trovando le nostre sonorità molto coinvolgenti e particolari.

Fino ad ora avete pubblicato tre singoli: “Leviathan”, “Far” e “Mediterranea”, perché avete scelto proprio queste tracce? Sono quelle che rappresentano al meglio l’essenza dell’album?

Quelli che, in una concezione ormai datata, sono i “singoli” del disco hanno sempre l’arduo compito di invogliare il pubblico ad ascoltare il nuovo lavoro, mostrandone gli aspetti più interessanti ed immediati anche in maniera un po’ sommaria, se vogliamo dirla tutta.
In questo senso, le tre canzoni prescelte rappresentano bene le diverse anime della band: “Leviathan” è un pezzo abbastanza moderno, con grandi orchestrazioni ed un impatto micidiale. L’ideale per annunciare il nostro ritorno sulle scene dopo così tanti anni.
“Far” è la title track e mostra il nostro aspetto più melodico, espresso nei precedenti dischi da canzoni come “Wurdulak”, “Neon Karma” e “And The Wind Shall Scream My Name”. È uno di quei brani incentrati su atmosfere più anthemiche, che dal vivo portano gli ascoltatori a sollevare i pugni in aria ed a cantare i cori a squarciagola.
“Mediterranea” è il perfetto link fra presente e futuro. Le atmosfere sono quelle tipiche del sound Stormlord aggiornate al 2019, ed il pubblico sembra averlo apprezzato. Già da ora, questo è uno dei brani più attesi nelle nostre setlist live, per non parlare del videoclip che è andato e sta continuando ad andare benissimo, grazie all’eccellente lavoro dei ragazzi di Trilathera.

Una curiosità: “Mediterranea” è stato utilizzato in una puntata di Blob su RaiTre, cosa avete pensato quando avete appreso la notizia? Tra l’altro inserito in un contesto attuale come quello delle Ong, degli sbarchi a Lampedusa…

Una cosa fuori dal mondo! Non abbiamo idea di come il video sia finito in quella trasmissione, ma ne siamo felici. “Blob” ha sempre rappresentato uno dei miei punti di riferimento per la televisione di qualità e mai avrei immaginato che Stormlord potesse farne parte.
Il primo ad avvisarmi del passaggio in tv è stato il mio amico Giuseppe, cantante dei Black Therapy, che si è trovato improvvisamente il faccione urlante di Cristiano sullo schermo della propria tv, quindi sono seguite decine di altri messaggi.
Peraltro uno degli argomenti principali su cui vertono i nostri testi è la fratellanza fra i popoli del mediterraneo, quindi penso che, in senso lato, la scelta di uno nostro brano si sia sposata bene con la tematica del flussi migratori, che troppo spesso viene trattata in maniera superficiale e disumana.

Gli Stormlord rappresentano uno dei pilastri storici della scena Metal italiana, avete già qualche decennio sulle spalle. Impossibile non porti questa domanda: come avete vissuto questi cambi generazionali? Mi riferisco al sound, alla composizione, alle moderne tecniche di registrazione, alle orchestrazioni…

Effettivamente in questi lunghi anni di carriera abbiamo visto le tecniche di registrazioni evolvere vertiginosamente e diventare un patrimonio a disposizione di tutti.
Questo ovviamente ci ha fatto piacere perché ha permesso a noi ed a molti altri di poter sviluppare il nostro sound in maniere che, ancora ai tempi di “Supreme Art Of War” (debutto del 1999), ci sarebbero sembrate inconcepibili.
Per intenderci, quando ho scritto il primo brano per Stormlord, “Age Of The Dragon” presente su “Supreme Art Of War”, ho portato l’idea in sala prove dopo aver registrato il tema con una tastiera giocattolo della Casio registrata dal mangianastri di mio padre.
Oggi, quando porto un demino in sala, solitamente è completo di tastiere, batteria, diverse linee di chitarre, basso e persino linee vocali eseguite in maniera indegna dal sottoscritto. La differenza rispetto agli esordi è abissale…
Diciamo che, pur essendo una band di vecchiacci, tendiamo a non rinchiuderci nella nostra routine a ci piace confrontarci costantemente con le sfide che ci riserva il presente.

Voi non amate ripetervi, pubblicare album che siano copie dei precedenti, ma come riuscite ad apportare delle innovazioni, pur mantenendo inalterata l’ossatura del vostro sound? Da quali elementi un ascoltatore può riconoscere un brano degli Stormlord?

Cerchiamo di comporre la musica che vorremmo ascoltare, niente di più, niente di meno: siamo i primi, severissimi critici di noi stessi ed abbiamo molto a cuore la qualità della nostra proposta, anche perché siamo molto fieri delle peculiarità del sound che abbiamo creato in questi decenni.
D’altro canto ci piace molto uscire dalla comfort zone e continuare ad aggiornare la nostra proposta tenendo costantemente aperte le orecchie, perché continuare a ripetere sempre la stessa formuletta disco dopo disco ci porterebbe ad annoiarci e, di conseguenza, ad abbandonare il progetto.
Spesso, di fronte ad esperimenti particolari come la title track del penultimo disco “Hesperia”, un brano dalle forti venature elettroniche, abbiamo avuto il timore di allontanarci troppo dal sound Stormlord, ma la verità è che siamo noi Stormlord. Quindi qualsiasi cosa che suoniamo o componiamo, inevitabilmente porterà con sé delle caratteristiche e degli stilemi immediatamente riconoscibili da chi ci segue.

A distanza di tanti anni, ripensando alla vostra carriera, cambiereste qualcosa? Pensate che essere una band italiana vi abbia penalizzato in qualche modo? Mi riferisco al fatto che spesso tendiamo ad essere esterofili, invece di valorizzare le produzioni italiane, se sono di valore, ovviamente…

Posso parlare per me. Probabilmente avrei cercato di godermi di più la fine dell’età d’oro del music business, quando le etichette ti fornivano budget sostanziosi sull’unghia per registrare dischi ed andare in tour, tanto guadagnavano moltissimo dalla vendita dei CD (di cui alla band arrivava poco e niente).
Noi abbiamo vissuto gli ultimi scampoli di quell’epoca, assistendo in diretta alla crisi dell’industria discografica e vedendo cambiare radicalmente il concetto di gruppo musicale, che da “cocco di mamma” dell’etichetta è dovuto scendere in prima linea anche in campo promozionale, divenendo a tutti gli effetti manager e promoter di sé stesso.
Un ruolo molto stimolante da un punto di vista creativo, ma anche una grandissimo impegno che spesso distrae dall’esigenza di occuparsi solo della propria musica, che dovrebbe essere la cosa più importante.
Immagino anche che la nostra provenienza spesso non abbia giocato in nostro favore, più che altro a causa di alcuni pregiudizi che la scena internazionale serba nei confronti dei gruppi italiani, accusati di avere un approccio piuttosto amatoriale e poco serio (quindi non proprio il massimo quando si tratta di trovare un partner con cui fare affari).
Da un altro punto di vista, considerata l’influenza che la nostra cultura e la nostra terra esercita su di noi, mi sento di affermare che gli Stormlord non sarebbero mai esisti in questa veste se non fossero nati e vissuti in Italia, quindi è inutile interrogarsi su come sarebbero andate le cose se avessimo avuto un passaporto Tedesco o Scandinavo.

Nel 2019 registrare un album è ormai alla portata di tutti, lo si può fare comodamente da casa (ovviamente senza pretendere il risultato di uno studio di registrazione), ciò ha contribuito a saturare il mercato? Sembra quasi che il cd sia diventato usa e getta…quando viene acquistato, visto che lo si può ascoltare gratis in streaming. Pensi si sia persa la sacralità del supporto fisico, mi riferisco a musicassette, cd e vinile?

È un discorso lungo e complesso che ho affrontato già in passato. In sintesi, da una parte è innegabile che l’immediata e sconfinata disponibilità della musica per gran parte del mondo abbiano facilitato il raggiungimento di una fetta di pubblico molto più ampia rispetto a venti anni fa.
Da un altro punto di vista, questa enorme offerta ha cambiato la concezione della musica, che oggi viene considerata in maniera più superficiale e sbrigativa, premiando le band più attente all’immagine ed alla viralità della propria proposta e rendendo la vita più difficile per i gruppi che si cimentano con sonorità complesse.
In parte, penso che il ritorno del vinile, al netto dell’aspetto qualitativo che conta detrattori e sostenitori, sia anche un riflesso di questa volontà, per gli ascoltatori più attempati, di riappropriarsi del proprio tempo e dedicare un momento a ciò che l’artista sta cercando di esprimere.
È anche per questo che siamo molto fieri della scelta di Scarlet Records di stampare “Far” in vinile, augurandoci che qualche nuova leva preferirà dedicargli 45 minuti perdendosi nella bellissima copertina, cambiando il lato e lasciando scorrere la puntina piuttosto che perdendoci 5 minuti per un distratto ascolto sulla metro.

Bene Francesco, ti ringrazio per l’intervista, lascio a te le ultime parole, un messaggio per i nostri lettori. A presto!

Innanzitutto desidero ringraziare coloro i quali non hanno mai cessato di supportarci e di attendere il nuovo disco, nonostante questi anni di silenzio che avrebbero fatto perdere la pazienza anche ad un monaco.
Per i lettori che ancora non ci conoscono: beh, cosa aspettate? Fra Spotify, Youtube e piattaforme varie, i modi per ascoltare nuova musica sono potenzialmente infiniti (alcuni folli, addirittura, arrivando ad acquistare dei CD!).
Date una chance alla musica che non conoscete, perché lì fuori ci sono migliaia di realtà bellissime che mettono il cuore e l’anima in quello che fanno.

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