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John Dallas: “Wild Life” – Recensione

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E’ un album strano quello che ci presenta John Dallas, il progetto bolognese che coinvolge il cantante di lungo corso Luca Stanzani ed il suo omaggio alle icone del rock che ha racchiuso in “Wild Life“.
Questo lavoro è strano perchè per certi versi sembra incompleto, o scritto in momenti distanti. E’ solo un’impressione, ma mi sembra che coesistano diversi stati d’animo che in qualche modo hanno influenzato anche il modo di cantare.
Ci sono infatti dei pezzi in cui il graffio vocale, quello tipico dell’hard rock dal quale si attinge, è davvero potente e d’impatto; altre tracks invece dove il pacchetto risulta un po’ debole o comunque poco incisivo. E contando che questo aspetto emerge già nella track d’apertura “Under Control” l’ascoltatore viene messo nella condizione di chiedersi “Ma tutto l’album è così?”, anche perchè pure la successiva “Heaven Is”, dall’intro vagamente Rage Against The Machine, non sia propriamente brillante.
Ed invece no!
“Wild Life” da quel momento in poi inizia ad aprirsi come uno scrigno dove sono raccolti spunti ritmati e soluzioni da veri rockers, seppur con un’attenzione minima riservata alle lyrics perchè, probabilmente, si punta ad una metrica che sia più d’impatto ed armoniosa.

Per valutare il disco d’esordio di John Dallas bisognerà quindi concentrarsi sui pezzi più caratteristici e quelli che magari potranno essere la chiave di volta per i futuri lavori della band.
Prendiamo la titletrack, “Wild Life”: un pezzo composto in maniera variegata e che tiene conto delle peculiarità di ogni membro della band. E’ il primo tassello che, durante l’ascolto, riesce a far apprezzare il lavoro di ricerca che è stato fatto da un punto di vista stilistico.
Anche la successiva “Dreamin’ On” risponde alle richieste di un ascoltatore esigente che vuole bastone e carota, rudezza e melodia, ovvero le componenti che rendono un pezzo godibile. In questo brano in particolare “Luca Dallas” caccia gli attributi ed appone una firma importante sulla resa vocale, dimostrando una buona versatilità che sfocia nel pezzo di chiusura. “Love’s Fake”, infatti, è davvero una sorpresa. Un pezzo carico di heavy metal e malignità musicale che dimostra che quest’artista è in grado di spaziare tra i vari generi e risultare addirittura molto di più a suo agio di quanto forse egli stesso non sappia.

Un’ultima annotazione devo farla per il brano “Freedom”… Inizia come se fosse stata estrapolata dalla colonna sonora di Grease, per poi trasformarsi una ballata Gospel in perfetto stile natalizio…
Ve lo avevo detto che questo album era strano!