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Black Winter Fest: Parma capitale dell’oscurità per una notte. IL REPORT

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di Mirko Marchesini

Con quella appena conclusasi sono undici le edizioni del festival Black Metal tricolore per eccellenza, curato ed organizzato dalla Nihil production in collaborazione con la Demon Star Agency.

Edizione come ogni anno attesa e ricca di proposte quella che è andata in scena al Campus Industry di Parma, location che ultimamente propone produzioni di rilievo, sia nazionali che internazionali. Staccatosi dunque dall’ormai storico e defunto Colony di Brescia, il BlackWinter come previsto, ha fatto segnare una buonissima affluenza, con spettatori provenienti da molte parti d’Italia e d’oltre confine presenti in buon numero fin dalle prime battute andando via via riempiendosi fino a sfiorare il tutto esaurito.

E’ stata per me la prima volta in quel di Parma, locale presentatomi da amici prima della partenza come ampio e spazioso, che ben si presta alle esigenze di live di un certo spessore. Effettivamente palco, impianto e platea non hanno nulla da invidiare a locali più blasonati ma, ahimè, non posso fare a meno di riportare alcuni punti dolenti per quanto riguarda i servizi offerti: i bar (si perché erano 2, uno interno e uno nel giardino esterno) hanno assorbito bene la domanda evitando code esagerate anche durante il picco di affluenza ma c’è da registrare il malcontento di più di qualcuno per i prezzi applicati a bevande e cibo (tra l’altro un listino esposto che riportava birra a 4€ salvo poi dover sborsarne 5, ciò giustificato con un lapidario “Oggi, visto il festival, si uniformano i prezzi”, mah!!), servizi igienici andati in crisi con conseguente allagamento del bagno e, cosa fattami notare da un amico (io non me ne sarei accorto), totale mancanza di alternativa vegetariana per quanto riguarda il mangiare.

Dettò ciò, passiamo alla proposta musicale, colonna portante dell’evento: proposta ricca, corposa e direi variegata, con 11 band che si sono alternate dalle prime ore del pomeriggio fino a notte fonda. Per motivi organizzativi siamo giunti al Campus a metà pomeriggio perdendoci purtroppo le esibizioni di Afraid of Destiny, Scuorn e riuscendo a sentire praticamente solo mezzo brano degli Attic. Cominciamo dunque il report dai Sojourner, band per metà Neo Zelandese e per metà Svedese, che ha proposto live un atmospheric Black Metal a tinte epic (sfumature ben supportate dal contributo della voce femminile della chitarrista) dando un’immagine molto professionale ma fornendo una prestazione leggermente penalizzata nella convinzione soprattutto per quanto riguarda i suoni e i volumi di chitarra, poco aggressivi e definiti.

Dopo di loro è il turno dei finlandesi Antimateria, per la prima volta live su suolo italico: face painting, tunica nera con cappuccio in testa, un intro e via con chitarre taglienti e voce azzeccatissima, un Black Metal che non fa leva sulla brutalità a sui ritmi serrati ma piuttosto gira attorno a riff diretti e semplici, riproposti quasi con un intento ipnotico, tanto da dare alla lunga la sensazione di non decollare mai. Esibizione la loro che, partita molto convincente, è aihmè naufragata in un problema tecnico che ha visto la band dover sospendere il live per quasi 10 minuti, proponendo alla fine solamente 3 brani completi, troppo poco a mio avviso per soddisfare a pieno gli ascoltatori.
E il turno dei Saor, band inglese creata e capitanata dal master-mind poli strumentista Andy Marshall che, supportato in live da turnisti di indubbia professionalità, ha dato una notevole sterzata tecnica alla musica fino a li proposta. Marshall e soci non hanno infatti deluso in precisione e qualità, proponendo un Atmospheric Black sullo stile dei Panoptikon, voce gutturale alternata a parti di violino, un sound pregno di folk e sonorità che rimandano immediatamente alla loro origine scozzese. Formazione che vista la notevole tecnica e professionalità, vedrei benissimo di spalla a band dall’attitudine più proggy come Ihshan o agli Enslaved, chissà se mai succederà…

Si accendono candelabri sul palco, si abbassano le luci e via… è il turno degli ellenici Acherontas. I suoni tornano taglienti e la cattiveria musicale (a noi tanto cara) torna a farla da padrona. Sfuriate di chitarra e blast beat, voce indemoniata e attitudine infernale questa la ricetta che riporta il festival sul seminato del black più intransigente e brutale. Prima band che da l’impressione di essere all’interno del giusto contesto. Mefistofelici (come suggeritomi dall’amico collega G.Caterino di Metalitalia).
Ci si avvia con un ritardo sulla scaletta di almeno 20 minuti all’esibizione dei Valkyrja. Intro di pioggia battente (quasi a ricordare il finale di Raining in Blood), luci rosse sul palco, parte l’assalto degli Svedesi. Va subito sottolineata un’attitudine e una “voglia di far male” notevoli che, nonostante un suono un po’ confusionario, regala un’esibizione stra-convincente, potente e malefica. La band si fa trasportare dalla musica sfoggiando un black metal che può essere ricondotto a Watain, Marduk e in qualche passaggio ai conterranei Dissection. Il Campus è quasi pieno e reagisce bene al crescere della proposta!!!

Con le ultime tre band della serata si arriva, a mio parere, alla parte più ghiotta e attesa di questo Black Winter 2018. Primi di questa carrellata finale a salire sul palco gli Archgoat osannatissimi dalla maggior parte dei presenti, in tour per promuovere la loro ultima fatica “The Luciferian Crown” uscito a Settembre 2018. Prestazione, quella dei Finlandesi, facilmente riassumibile con 3 parole: uno scalino sopra. Il trio infatti alza l’asticella sia sotto il profilo qualitativo che sotto il profilo della resa, con suoni letteralmente abnormi: chitarra e basso sono un muro, la batteria è una cannonata, voce, blast beat e riff oscuri dettano legge, per un Death Metal vero, puro, sanguigno, con sporcate di Black feroci e brutali, schiaffoni sonori trasformati in bolgia sotto il palco tra gli spettatori. Pollici su, senza se o senza ma.
Tocca agli Tsjuder replicare, e non sarà un lavoro da poco vista la forma di chi li ha preceduti. Il ritardo accumulato sulla scaletta intanto sale quasi a 50 minuti, ma il pubblico freme… si spengono le luci e boom!! All’improvviso il trio norvegese sale sul palco: face painting, torso nudo e una consapevolezza nei propri mezzi totale. La vecchia scuola si vede e si sente, nell’immagine, nei riffs, nei passaggi di tempo e nella composizione che non può non ricordare mostri sacri come Slayer o Venom per la parte più heavy, o Immortal, Mayhem, Taake e Dark throne per la parte più oscura… Tsjuder che mi avevano già convinto al Netherlands Deathfest un paio di anni fa e che, a quanto pare, non arretrano di un millimetro sotto l’aspetto live risultando per me molto più godibili sul palco che non su disco. Pubblico che assiste sornione alla performance della band nelle battute iniziali salvo scatenarsi con entusiasmo ed estrema partecipazione per il resto del concerto. All’annuncio “Next song is Sacrifice!!!” il CAMPUS esplode!!! Personalmente ho già voglia di rivederli.

E tardi ormai, con praticamente un’ora di ritardo sulla tabella oraria si attendono gli headliner, si comincia a sentire la stanchezza che una maratona di quasi 7 ore impone. Più di qualcuno lascia il locale prima del termine del festival, scelta quasi sicuramente dettata dal fatto che si sa, i Marduk non è difficile incrociarli in tour e più di qualcuno tra il pubblico (compreso chi vi parla, visti l’ultima volta al Brutal Assault pochi mesi fa) ha potuto apprezzarli in più di qualche occasione in passato. Fatto sta che all’una di notte precise è cominciato quello che si è rivelato lo show più devastante della serata. Dal microfono viene annunciato “Panzer Division…..” e tutto il CAMPUS a rispondere “Marduk!!!!!”…”Panzer Division Marduk” primo brano in scaletta, per mettere subito in chiaro come dovranno andare le cose: è letteralmente un massacro. Suoni impeccabili, rabbia totale, una violenza devastante. Scaletta che parte con una doppietta di brani da Panzer Division appunto, andata poi a toccare praticamente tutta la discografia, compreso ovviamente l’ultimo lavoro in ordine di tempo “Viktoria” uscito a Giugno. E’ inutile la vecchia scuola ha sempre una marcia in più, e questa ne è stata l’ennesima e scontata conferma. Sul più bello che Archgoat e Tsjuder avevano risollevato un festival fino a quel momento piacevole ma senza particolari picchi, i Marduk con la loro performance sono stati addirittura capaci di ridimensionare chi li ha preceduti, confermando, coi fatti, di meritare il titolo di headliner per forza, convinzione e resa on-stage.
Un Black Winter dunque partito in sordina e chiuso alla grande sotto il profilo musicale ma con qualche neo organizzativo da sistemare per essere considerato (come merita) a tutti gli effetti un punto di riferimento tra i festival europei. Appuntamento che rimane immancabile e che comunque mi sento sempre di consigliare agli amanti del genere o a chi si vuole affacciare al lato più maligno del metal.
Va beh l’avete capito, senza dubbio, al prossimo anno!