Home Interviste Alessandro Liccardo: “Non si può avere tutto e subito, ci vuole programmazione”

Alessandro Liccardo: “Non si può avere tutto e subito, ci vuole programmazione”

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È un musicista, chitarrista degli Hangarvain, un comunicatore, profondo conoscitore di strategie per il marketing e la promozione musicale, è la mente che sta dietro all’etichetta Volcano Records & Promotion, in questa intervista con Alessandro Liccardo abbiamo fatto il punto della situazione in merito a tutte le sue attività…e i progetti futuri.

Ciao Alessandro, bentornato sulle pagine di Metal In Italy! Iniziamo subito con una notizia delle ultime settimane: il nuovo disco degli Hangarvain sta prendendo forma. Ci puoi dare qualche anticipazione?

Ciao Stefano, è un vero piacere tornare su Metal In Italy! Assolutamente si, stiamo registrando il nuovo disco degli Hangarvain proprio in questi giorni e non abbiamo dubbi che sarà il migliore di sempre. Lo so che si dice sempre così per un nuovo album, ma questa volta stiamo facendo le cose davvero in grande. Il programma è che sia tutto pronto per fine estate ed uscire ad ottobre!

Due anni di assenza, poi “Roots And Returns”, adesso a distanza di un anno la nuova release: siete tornati come un vero e proprio fiume in piena! Avevate tanto materiale su cui lavorare, o la vostra vena creativa è viva e pulsante?

Devi sapere che prima che ci prendessimo quella lunga pausa, avevamo un disco praticamente pronto, intendo scritto in tutte le sue parti e mai uscito, e non ti nascondo che credo davvero che fosse un grande album in potenza. Ma quando un anno e mezzo fa abbiamo deciso di tornare con Roots And Returns, volevamo fare qualcosa di completamente diverso, omaggiando le nostre radici, il rhythm and blues e la Motown, ovviamente a modo nostro e tremendamente rock, e quindi abbiamo riscritto tutto da zero. Quando poi abbiamo iniziato a ragionare su di un nuovo lavoro negli ultimi mesi del 2018, era passato davvero molto tempo da quando avevamo scritto quelle tracce inedite e ci è sembrato più giusto ricominciare da capo ancora una volta. Io e Sergio abbiamo una maniera di lavorare insieme molto particolare. Alcuni pezzi li abbiamo scritti proprio a quattro mani, altri li ho composti da solo ma sempre confrontandomi con lui ad ogni passaggio, in modo da prendere le decisioni più controverse sempre in due. Alla fine avevamo un bel po’ di pezzi da cui ne abbiamo scelti nove per questo nuovo disco che sono veramente quelli che ci rappresentano al cento per cento, brani melodici e d’impatto, un pugno nello stomaco come è giusto che sia per una band rock, ma sempre con la volontà di scrivere delle buone canzoni, la cosa che ci interessa più di tutto.

Tra l’altro vi presentate con una nuova formazione. Quali sono le novità?

È vero, abbiamo avuto dei cambi di line up assolutamente consensuali e non traumatici a fine 2018, e dunque siamo stati costretti a riorganizzare la squadra. Abbiamo deciso di coinvolgere in questo nuovo progetto, musicisti di grande esperienza ma che in maniera diversa avevano già fatto parte del team in passato, anzi direi che sono sempre stati parte della famiglia Hangarvain in questi anni. Le batterie sono state registrate a metà aprile nel bellissimo studio del nostro amico Jex Sagristano, i Soundinside Basement Records a due passi da Napoli, dove avevamo già lavorato in passato, dal mitico Andrea Gianangeli appena tornato dal tour europeo con David Reece e la grande esperienza con Paul Gilbert. In questo momento stiamo realizzando le chitarre ed il basso dividendo il lavoro tra l’Italia e l’Australia. Infatti io registro tutto nel mio studio a Torino e poi mando le tracce ad Alessandro Stellano a Melbourne. Ale è stato il nostro primo bassista, ha registrato Best Ride Horse nel 2014 ed è un piacere indescrivibile tornare a lavorare insieme su questo nuovo progetto. Una volta finite chitarre e bassi, passeremo alle voci che faremo di nuovo a Napoli, agli storici South Rock Studios, lo studio personale di Sergio dove anni fa abbiamo insieme dato inizio a tutto questo! Posso anticipare che avremo una bellissima special guest su questo album, ed anche in questo caso si tratta di un ritorno, ma non posso sbottonarmi troppo per ora. Per concludere, abbiamo deciso di mixare il tutto insieme ad Andrea Fusini, un produttore straordinario che seguo da tantissimi anni per il suo lavoro incredibile con tante band pazzesche tra cui gli amici Be The Wolf ed i Frozen Crown. Ci siamo conosciuti di persona solo di recente ma è stato tutto subito molto naturale, stessa visione, stessa attitudine e ambizione, non potevamo non piacerci ed iniziare a lavorare insieme!

Tornando alla tua attività personale, nei mesi scorsi sei stato anche al NAMM di Los Angeles. Che esperienza è stata per te? Quali musicisti hai incontrato?

Sono stato Los Angeles alcune settimane ed è stato letteralmente incredibile. Erano anni che progettavo questo viaggio, amo quella città, la sua cultura musicale e tutto quello che ha rappresentato per il rock. È stato un sogno poterci andare grazie alla musica e non posso non ringraziare anche il mio amico Mirkko De Maio, ex batterista degli Hangarvain ed oggi nei leggendari The Flower Kings, col quale ho condiviso quest’esperienza e che in qualche modo mi ha fatto da guida negli States avendoci vissuto in passato. Sono stato al NAMM nei primi giorni della mia permanenza in America. La fiera ha una dimensione inimmaginabile, ci trovi chiunque e qualsiasi cosa. Ho incontrato centinaia di musicisti spettacolari, non solo famosi ma anche giovani sconosciuti e incredibili. Inoltre è stata l’occasione per rivedere tanti amici da tutto il mondo, è veramente un momento cruciale dove convergono tantissimi addetti ai lavori. Tra i grandi, ti cito giusto Richie Kotzen e Doug Aldrich che sono due chitarristi che adoro e ai quali devo molto stilisticamente e musicalmente, li avevo già conosciuti di persona in passato ma è stato bello rincontrarli in questo contesto.

Non solo NAMM, nell’occasione hai stretto un importante accordo con la F-Pedals. Puoi spiegarci di cosa si tratta?

F-Pedals è una factory di pedali per chitarra con sede a Los Angeles nata dalla geniale creatività di Francesco Sondelli che realizza prodotti di altissima qualità e sta sviluppando dei progetti veramente interessanti. Francesco vive tra Los Angeles e Tokyo da oltre vent’anni e nonostante ci siamo incontrati a Hollywood per la prima volta a febbraio, ci siamo subito accorti di condividere molto oltre la nostra comune origine napoletana. Lui è un vero visionario, un’anima creativa inarrestabile e insieme abbiamo iniziato a lavorare a diversi progetti da sviluppare tra Italia, Stati Uniti e Giappone. Ci vorranno anni per realizzare tutto, ma abbiamo messo sul tavolo importanti risorse ed un piano ad ampio raggio. Per iniziare, la cosa più naturale è stata agganciare i nostri progetti imprenditoriali di maggior successo, la mia Volcano Records ed il suo brand di effettistica per chitarra che dà a tutti i nostri artisti la possibilità di un accordo di endorsement internazionale e grande esposizione e visibilità. Al di là degli affari, siamo due appassionati di musica fino al midollo e da alcuni mesi sto provando personalmente alcuni pedali per chitarra che ha realizzato in collaborazione con il leggendario produttore Eddie Kramer (Jimi Hendrix, Led Zeppelin) e non posso dire altro che consigliare a tutti di fare un giro sul suo sito www.f-shoponline.com per scoprire che linea di prodotti incredibili ha realizzato!

Volcano Records amplia, dunque, i propri orizzonti, sbarca in America. Quali sono i progetti per il 2019?

Da circa un anno e mezzo abbiamo istituito il comparto Volcano International che ha già realizzato risultati notevoli come il festival a Berlino a novembre 2018, la release in Giappone di Thomas Silver, ex Hardcore Superstar, e tanti artisti stranieri che promuoviamo nel mercato internazionale. Da gennaio di quest’anno abbiamo iniziato a lavorare fisicamente anche negli Stati Uniti, come ti dicevo prima ci sono in ballo progetti piuttosto grandi che richiederanno anni per compiersi del tutto, lo scenario attuale è molto complesso e nulla si realizza con facilità ed in poco tempo. Quest’anno comunque abbiamo diverse grosse cose, alcune appena pubblicate come il disco This Is Rock nel quale abbiamo riunito artisti giovani e grandi nomi del rock e del metal internazionale, ed altre in arrivo nei prossimi mesi. Ti posso anticipare che stiamo lavorando ad un progetto di sviluppo che riguarda il Giappone, un territorio cruciale per chiunque si occupi di rock, ed entro fine anno lanceremo qualcosa di veramente grande e potente.

Il roster dell’etichetta è molto ampio e comprende band appartenenti a generi diversi tra loro. Immagino che in base a ciò ci sia anche una comunicazione diversificata e ben mirata. Quali sono le vostre strategie?

Le valutazioni che facciamo per selezionare i nostri artisti sono molto articolate e spesso vanno ben oltre un ragionamento meramente stilistico o commerciale. Ovviamente siamo un’etichetta rock nell’anima con una sostanziale apertura al metal, ma il mercato attuale è radicalmente diverso da dieci anni fa essendo ultra frammentato in nicchie molto piccole e segmentate in maniera a volte imprevedibile, dunque la comunicazione e la promozione viaggiano su canali nuovi e richiedono competenze molto sviluppate per gestire al meglio tutti gli strumenti a disposizione. Il nostro obiettivo primario è quello di sviluppare a trecentosessanta gradi il brand dei nostri artisti da una prospettiva sia strategica che operativa, per polarizzare attorno alla loro musica una community e dunque una fanbase reale e concretamente supportiva. Le strategie per farlo sono molte e calibrate su ogni specifico disco, ma ci sono dei principi di funzionamento dell’industria musicale e della comunicazione in generale, che valgono per tutti. Ci vuole tempo e pazienza per creare credibilità e buona reputazione, spesso indipendente da quanto è bello un disco, e il pubblico segue solo chi non molla e lavora sodo sul lungo periodo per la propria musica.

Da esperto nel settore della comunicazione, quali sono i principali errori che commettono le band che si affidano al fai da te, piuttosto che a professionisti qualificati?

L’errore più diffuso che commettono le band che lavorano in maniera autonoma, è la mancanza di programmaticità. Non essere in grado di realizzare un piano strategico con una timeline precisa che preveda obiettivi di breve, medio e lungo periodo, significa essenzialmente due cose. Uno, non avere un piano di lavoro, cioè non dare una direzione precisa ai propri sforzi e non avere una mappa per orientare il proprio sviluppo di carriera. Due, non avere un progetto non ti permette di fissare degli indicatori di performance che ti segnalano se le cose stanno andando bene o se necessitano di cambi di direzione. I gruppi vogliono tutto e subito, non sono spesso in grado di prevedere gli scenari possibili o probabili e si entusiasmano alla stessa velocità con cui si abbattono quando le cose non gli sembrano andare come vorrebbero. Spesso la percezione del fallimento di un progetto che tanti gruppi hanno, deriva da un’errata valutazione delle aspettative irrealistiche all’inizio o più semplicemente dall’incapacità di capire in che fase della propria carriera si trovano. Chiunque faccia successo, ha suonato prima in localini vuoti di periferia davanti a quattro persone, il che non significa automaticamente che tutti i gruppi sfigati avranno successo se non mollano, ma che l’unica possibilità che hanno per giocarsi davvero le loro carte è avere una visione realistica della realtà che li circonda, dei limiti e delle opportunità concrete. Questo è il plusvalore che ti dà lavorare con chi ha più esperienza nel settore.

Rimanendo in tema, in passato hai tenuto dei seminari in merito. Pensi di continuare in futuro? Magari istituendo un corso di formazione?

Con il progetto Scuola di Music Business (www.scuoladimusicbusiness.com) tengo regolarmente workshop e seminari in tutta Italia da molti anni, proprio in questi giorni sono a Milano al FIM, il Salone della Formazione e dell’Innovazione Musicale, per un workshop sulla promozione musicale nell’era digitale il 16 maggio, mentre il prossimo 22 e 23 giugno terrò un corso intensivo di due giorni dedicati al Management Musicale 3.0 (https://bit.ly/2HiodOX) che si svolgerà presso la bellissima struttura di Music Lab a Settimo Torinese. Inoltre dal 2016 dirigo proprio a Torino il corso annuale in Music Business presso l’accademia Perform Music School che rilascia titoli riconosciuti a livello internazionale attraverso il circuito inglese RSL. Il nostro corso annuale si configura come una grandissima occasione per i nostri studenti di approfondire la conoscenza dell’industria musicale odierna, delle strategie di promozione e gestione dei progetti musicali, ed è soprattutto l’opportunità di fare esperienze professionali concrete ed iniziare a lavorare al proprio network di contatti indispensabili per realizzare un percorso di carriera lavorativa in questo settore.

L’11 maggio c’è stato l’appuntamento con la quarta edizione del Volcano Rock Fest. Lo scorso anno vi siete divisi tra Milano e Berlino, per il 2019 data unica a Torino, tra musica ed impegno civile. Come è andata?

L’anno scorso il festival in due date è stato un successo, non ce l’aspettavamo assolutamente essendo la nostra prima esperienza a Berlino. Ovviamente avremmo potuto fare tesoro di quello che ha funzionato e non, per migliorarci e fare meglio quest’anno, ma come sai ci piacciono le sfide e abbiamo deciso di provare qualcosa di completamente diverso. Siamo un’etichetta discografica, non un’agenzia di organizzazione eventi, la nostra priorità non è fare un festival perfetto, ma dare un segnale e trasmettere fiducia a tutta la scena, alla nuova generazione di appassionati, band e addetti ai lavori che gravitano nell’universo rock e metal italiano. Qualche mese fa i nostri Legacy Of Silence, una promettentissima folk metal band che ha appena rilasciato un ottimo disco d’esordio attraverso Volcano, ci hanno proposto di partecipare come partner ad un evento per il territorio torinese nel quale coinvolgere associazioni e cooperative impegnate nel sociale. Abbiamo pensato che fosse un’ottima idea e abbiamo subito rilanciato. Perché non provare a dare un respiro nazionale all’iniziativa utilizzando un marchio già consolidato e conosciuto come il nostro? Così è nato il Volcano Metal Fest, quarta edizione del Volcano Rock Fest o prima edizione metal, chiamalo come vuoi, ma per noi è stato soprattutto un segnale importante per dire che la musica c’è anche quando si parla di sociale, che non basta chiudersi nelle sale prova e aspettare che le persone si appassionino a quello che suoniamo, dobbiamo uscire dai garage per incontrare il pubblico e creare sinergie. Bisogna lavorare sui territori, con le comunità e le associazioni locali, interagendo e creando nuove opportunità di crescita e sviluppo culturale. Il metal ed il rock hanno sempre avuto una valenza sociale, a Torino è stata l’incubazione di un progetto più grande e siamo orgogliosi di questo primo esperimento assolutamente riuscito!

Grazie Alessandro per il tuo tempo, lascio a te l’ultima parola, un messaggio per i nostri lettori. A presto.

Stefano grazie a te e a Metal In Italy per lo spazio e soprattutto per tutto il gran lavoro che fate a supporto della scena. Ai lettori non posso che augurare di non smettere di appassionarsi, di seguire, di supportare e credere nella musica. Viviamo un’epoca complicata ma siamo tutti, addetti ai lavori, band e appassionati, parte di questa generazione che ha nelle proprie mani la possibilità di far crescere l’intero movimento e la scena nazionale. All’estero lo fanno già, il mondo indipendente è vivo e vegeto, e sono fermamente convinto che uniti possiamo cambiare le cose anche qui e far ripartire seriamente il rock ed il metal in Italy!