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Fleshgod Apocalypse: “King” – Recensione

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Una furia che colpisce come il vento freddo sul campo di battaglia, cori epici che riescono ad incarnare la figura austera di un re, melodie sognanti ed orchestrazioni eccelse, “King” dei Fleshgod Apocalypse può essere definito come un album che rasenta la perfezione.

La band è riuscita nell’intento di definire i confini del proprio songwriting, brevettando un sound che li rende riconoscibili in tutto il mondo e che permette loro di portare in alto il vessillo del Metal italiano.

Non c’è da stupirsi dinanzi al risultato raggiunto, perché già con le passate release i Fleshgod avevano ampiamente dimostrato di potersela giocare con acts blasonati, noncuranti delle mode sono riusciti a plasmare una creatura dai lineamenti ben definiti, che fonde elementi Death a preziose partiture orchestrali. Il carattere sinfonico riveste un ruolo fondamentale nell’economia della band, ma non ne rappresenta il punto cardine, perché il drumming di Franesco Paoli, praticamente un alieno dietro le pelli e le chitarre del duo Riccardi/Trionfera ci ricordano che l’anima della band rimane comunque maledettamente Heavy.

Con “Marche Royale” si aprono le danze, affidate a timpani ed altri strumenti orchestrali, creando così un crescendo imperioso che si adatta perfettamente alla regalità dell’album. “In Aeternun” scaraventa l’ascoltatore direttamente in guerra, con ritmiche serrate e nervose, cori degni di un girone infernale. Da rimarcare anche la parte solista di chitarra, che fa da introduzione ad una corale parentesi che si basa su clean vocals. La battaglia continua e l’incedere assume le sembianze di una marcia, non a caso la traccia prende il nome di “Healing Through War”. È un clavicembalo ad introdurci “The Fool”, prima traccia pubblicata dalla band, ma si tratta di un breve preludio, una parentesi che permette di prendere il respiro prima di tuffarsi nuovamente in passaggi vorticosi.

A placare i toni ci pensa “Cold As Perfection”, brano più lento rispetto agli altri, ma che riesce a creare un’atmosfera di attesa, di riflessione, che culmina nelle melodie create dalla voce femminile. Dopo la breve “Mitra” ecco che i Fleshgod Apocalypse spiazzano con “Paramour (Die Leidenschaft bringt Leiden)”, brano che vede come protagonisti il piano di Francesco Ferrini, magistrale la sua opera sull’intero album, e la voce del soprano. Non c’è tempo per assaporare queste melodie, perché “And Vulture Beholds” irrompe con tutta la sua prepotenza, dettata da ritmiche dai bpm assurdi che fanno da tappeto a cori imperiosi. A giudicare dai diversi livelli di “lettura” ci si rende conto di quanto lavoro ci sia dietro la composizione dell’album, perché ogni passaggio è perfettamente studiato.

“Gravity” ed “A Million Deaths” continuano nel solco dei brani precedenti, nel primo caso a farla da padrone sono nuovamente i passaggi cadenzati, mentre nel secondo i Fleshgod tornano a fustigare l’ascoltatore con una brutalità bestiale. “Syphilis” è invece una traccia interlocutoria ed atmosferica, che predilige un andamento regale, come se la band volesse condurci per mano verso il termine della battaglia.

Tornando sul tema Ferrini, la conclusione è affidata alle sue mani che scorrono sui tasti del pianoforte, disegnano melodie nostalgiche, angoscianti e decadenti, quasi quatto minuti di intensa emozione, il modo migliore per concludere, ovvero la title track.

“King” è quanto di meglio la band potesse fare, ognuno dei musicisti si è espresso al massimo delle proprie capacità, riuscendo così a comporre un’opera magistrale, che verrà sicuramente apprezzata in tutto il mondo. Impossibile muovere delle critiche, tutto è al posto giusto, sia a livello compositivo che di resa sonora, grazie al prezioso lavoro svolto da Marco Mastrobuono dei Kick Recording Studio e Jens Bogren dei Fascination Street Studios.