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Nefesh: “Oggi tutti fanno tutto. Il punto di equilibrio si è rovesciato”

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“La carriera economica per noi non è mai iniziata!”. Sono realistici i Nefesh.
E’ una triste verità che però, in quanto tale, accomuna molte, moltissime band. E’ vero, si può essere sulla scena da anni ed anni, ma se non vi è un rientro economico che certifichi che quello è stato il tuo lavoro, parlare di carriera diventa impegnativo.
Ma non si fa musica per soldi, o meglio non è quello che ci spinge ad essere innamorati di lei.
I Nefesh lo sanno ed è per questo che continuano sulla loro strada.
La band di Ancona si confessa in questa intervista: portavoce Luca Lampis, fondatore, scrittore dei testi e di parte delle musiche dei Nefesh, che in questa sede viene stuzzicato anche sul pay to play, offrendo una lunga ed articolata risposta.

Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di Metal In Italy. I Nefesh nascono nel 2005, avete alle spalle oltre dieci anni di attività e tre dischi. Quali sono le tappe fondamentali della vostra carriera?
Ciao a tutti, grazie a voi per questo spazio e il tempo che ci avete dedicato. Sono cose che non diamo mai per scontate e ne siamo sempre grati.
La parola carriera viene usata di solito per parlare di un progresso sociale ed economico. Nel nostro caso, volendo essere brutalmente sinceri, la carriera dal punto di vista economico non è mai iniziata mentre quella da un punto di vista sociale posso dire che sono contento di vedere e sentire ogni tanto persone, della nostra zona e non, in Italia e all’estero, che stimano profondamente la nostra musica e ci hanno seguiti da tempo, ma devo dire che non c’è mai stato un salto decisivo al livello superiore. Diverse volte lo abbiamo rasentato e siamo stati in corsa per opportunità che avrebbero potuto sul serio cambiare le cose ma così non è mai veramente stato. Ad ogni modo le tappe più importanti di questo nostro percorso iniziato più di dieci anni fa credo che siano state più che altro nostre, interiori, intime. La nostra crescita negli anni, musicale e professionale; i tre dischi prodotti, che in un modo nell’altro resteranno; la voglia di esserci…

Il vostro sound presenta diverse contaminazioni, in particolar modo la musica classica. Quali sono le principali influenze, o meglio le caratteristiche di ciò che proponete?
Come dici tu sicuramente un forte filone d’influenza deriva dalla musica classica, dalla ricerca per certi aspetti tipica di un approccio che guarda dietro per cercare una strada interessante da battere o da potenziare per l’andare avanti. Io personalmente, che scrivo gran parte delle musiche e i testi, ho degli interessi musicali abbastanza variegati dalla musica classica, che è anche la mia principale attività nella vita, alla musica indiana, il metal, il rock, parte del jazz, musica contemporanea di ricerca, free improvisation… non ho un filone specifico a cui mi appoggio principalmente.
In linea di massima però posso direi che nel nostro gruppo tutte le nostre singole influenze, dei nostri personali percorsi, hanno parecchio spazio per venire fuori e dopo più di dieci anni che suoniamo insieme abbiamo maturato in parte un modo collettivo di ragionare che ci ha portati ad avere una tacita linea musicale, intermedia a tutti noi, che ci guida.

Tra l’altro ho letto dalla vostra biografia che alcuni di voi hanno studiato, o studiano ancora, presso il Conservatorio. Ritenete che una formazione “scolastica” sia preferibile ad uno studio da autodidatta?
Si, siamo un po’ tutti noi reduci da percorsi accademici e alcuni di noi sono anche insegnanti di musica. Io nel mio percorso ho preso un Diploma in chitarra e un biennio superiore di specializzazione interpretativo-compositivo sempre in chitarra, in Conservatorio, poi ho vinto delle borse di studio in università musicali (Conservatori) all’estero e nel mio percorso ho anche insegnato in Licei Musicali e altri posti come il Conservatorio di Gerusalemme e tante altre cose che comunque non avrebbe senso direi qui. Mentre il nostro tastierista, Stefano Carloni è diplomato al CPM di Milano (blues/jazz) e si sta laureando ora anche in composizione al Conservatorio di Cesena, insegna anche lui. Diego Brocani, bassista, studia contrabbasso nel Conservatorio di Pesaro, il nostro batterista Michele Baldi ha studiato tanti anni batteria con diversi insegnanti e il nostro cantante Paolo Tittarelli, è nel gruppo l’unico autodidatta.
Ho elencato queste cose semplicemente per far capire che forse la mia risposta può essere un po’ di parte però ritengo che una formazione scolastica, termine che non amo molto, è un mezzo, se fatta e ricevuta in modo adeguato (insegnanti in gamba intendo), per ampliare di tanto la propria visione delle cose, per poter arrivare più velocemente agli obiettivi che si vogliono raggiungere. Una formazione fa capire “da dove si arriva” per avere le idee più chiare, e degli stimoli (parecchi) in più, per decidere “dove si vuole andare” e perché. Ai miei studenti dico che la conoscenza e lo studio li può rendere liberi di scegliere. Certo, lo studio e una maggiore conoscenza, in generale pone, per sua stessa natura, più quesiti e più problemi e tematiche su cui pensare e ragionare proprio perché ti apre più strade nella testa. Poi bisogna prendersi le proprie responsabilità e scegliere dove andare. Non c’è una strada giusta e una sbagliata, credo, ma l’importante è che se si sceglie di prendere una strada lo si possa fare sapendo che poteva essercene un’altra ma che si è deciso di puntare su quella che si è scelta. Voglio dire, sostanzialmente, due cose: studiare con una guida preparata e sensibile può far crescere tanto umanamente e musicalmente e può farti procurare dei mezzi molto forti con cui forgiare le proprie scelte musicali e il proprio stile (!). Soprattutto con Stefano, anche lui insegnante, parliamo sempre spesso di cose di questo genere, ci facciamo molte domande su cosa significhi essere un insegnante ai giorni nostri…
Detto questo voglio specificare che non disdegno lo studio da autodidatta affatto, ma credo solo che al 99% una guida preparata sia molto importante anche per mettersi in discussione. Altrettanto vero è che se ci si affida ad una pessima guida sarebbe meglio fare da soli. In entrambi i casi deve essere chiaro che l’ultimo, unico e vero Maestro di noi stessi rimaniamo sempre e comunque noi stessi.

In che modo i vostri studi confluiscono nei Nefesh? Immagino che ci sia una connessione tra le due cose.
Si, una connessione molto forte direi. Se ascolti i nostri tre dischi: Nefesh 2006, Shades and Lights 2011, Contaminations 2014 e, quando uscirà, quest’ultimo che stiamo facendo, sentirai, come sicuramente hai già sentito, che c’è uno sviluppo continuo. Anche in questo caso non voglio dire che uno sia meglio dell’altro ma che ci siamo sempre mossi, messi in discussione. E questo è sempre avvenuto alla luce dei progressi che abbiamo fatto individualmente musicalmente durante gli anni di ricerca e di studio personale. Per esempio non avrei mai pensato di comporre e mettere quella parte di sola tastiera in After the end se non avessi studiato e ascoltato negli anni musica atonale e seriale. O, esempio che può essere più chiaro a tutti i lettori, di intestardirmi sul cercare di mettere testi in italiano nel progetto Nefesh se non avessi studiato il percorso dell’italiano nell’opera italiana esportata in tutto il mondo o, soprattutto, di come i compositori di origine “tedesca” si siano battuti subito dopo Mozart per avere una propria storia di opera in tedesco, sfidando quell’incontestabile e indiscussa verità per cui solo l’italiano era la lingua per antonomasia per cantare. Oggi, nel metal, siamo tutti, o quasi, convinti che l’italiano non sia adeguata come lingua ma penso che non sia del tutto vero e la sfida l’ho colta. Si può ascoltare per esempio Una piacevole sorpresa dal nostro ultimo album Contaminations.

Il titolo del vostro ultimo album è “Contaminations”. Perché lo avete scelto? Cosa rappresentano per voi le “contaminazioni”?
Le contaminazioni per noi sono vitali per progredire. Tutte le società che non si lasciano contaminare alla fine muoiono su se stesse e le più forti e longeve (e sane) sono quelle che sono state pronte e aperte alle contaminazioni. Nella musica credo sia sostanzialmente la stessa cosa. Certo le contaminazioni destabilizzano e spesso ci si lascia prendere dalla paura o dal pensiero che è un rischio “contaminarsi”. Certamente il rischio di far venire fuori delle oscenità è dietro l’angolo ma tra la certezza di fare un disco come ne sono stati fatti a milioni, quindi il ripetere altri o il ripetere noi stessi, e il rischiare un cammino un po’ più originale, scegliamo il rischio di non azzeccare il tiro ma provare a rinnovarci seguendo i nostri cammini. Ciò che per noi è un punto di forza è però per il commercio, il business musicale, una grande debolezza. Ciò che è nuovo e che cerca di sperimentare uscendo dal coro, sostanzialmente non vende. Siamo consapevoli del suicidio commerciale che abbiamo compiuto e stiamo compiendo ma il punto è (e parlo per tutti noi sostanzialmente) che preferiamo avere tre/quattro dischi veri, forti, frutto di un cammino sincero piuttosto che tre/quattro dischi nei quali non è stato detto assolutamente niente. Il problema che ci poniamo è quello di esprimere ciò che abbiamo da dire nel migliore dei nostri modi per cui è presto scoperto il perché il nostro lavoro rimane sostanzialmente impopolare. La capacità di ascolto è molto bassa oggi come oggi. Pochi anni fa ci consumavamo una musicassetta ascoltandola mille volte e arrivando a conoscerne tutti i più piccoli particolari registrati, mentre oggi si clicca in modo compulsivo su youtube, spotify ecc ecc cambiando canzone dopo pochi secondi. Ma sono andato fuori domanda e con questo argomento dovrei scrivere altre dieci pagine e non basterebbero, per cui mi fermo immediatamente…

Ho visto che sono iniziate le preproduzioni del quarto album. In che cosa si differenzierà dal precedente? Potreste darci qualche anticipazione su questo lavoro?
Certamente. Sarà una struttura ancora più “serrata” dei precedenti: tre trilogie di tre brani l’una con delle tracce strumentali di congiunzione fra di loro. Le tre trilogie saranno un viaggio nell’interiorità umana che partirà dall’Io, per scoprire il Voi, e approdare al Noi. Le singole trilogie dell’ Io, Voi, Noi avranno nel primo brano la lingua inglese che esprimerà pensieri inconsci di rabbia e paura, nel secondo brano si avrà l’italiano per esprimere pensieri più calmi e lucenti e il terzo brano sarà l’unione delle due realtà sia da un punto di vista musicale che di testo che di lingua dove l’italiano e l’inglese appariranno insieme. Il tutto nell’ottica di un percorso e di un ritorno. Di più non posso e non voglio dire 😉 spero di avervi fatto nascere un po’ di curiosità!

Avete già delle scadenze definite? Quando è prevista l’uscita?
Ce l’eravamo date, ma, neanche a dirlo, sono saltate. Impegni personali, volontà di ricercare bene alcuni particolari, rimessa in discussione di diverse parti del materiale già composto dopo averlo risentito… Per ora non riuscirei a dare delle date e delle scadenze. Avremmo voluto lanciarlo per il decennale dal nostro primo album del 2006 ma non credo che possiamo farcela, realisticamente. Purtroppo… ma pazienza.

Qual è il vostro rapporto con le band italiane con le quali siete in contatto? È più facile trovare degli amici, o prevalgono gelosie e competizione?
Mi fai questa domanda perché sai quanto sia delicata questa realtà… Che dire? È effettivamente una realtà molto strana. Io personalmente, come anche gli altri del gruppo, cerco sempre di essere amichevole con tutti ma questo non significa che non sia intollerante all’arroganza e alla stupidità. Il punto è sempre la qualità delle persone e ci sono idioti e brave persone dappertutto… Ad ogni modo sono contento dei buoni rapporti che abbiamo instaurato con altre band, anche se tutti ormai siamo così concentrati su noi stessi che raramente siamo veramente interessati all’altro…

I Nefesh preferiscono provare in studio, registrare o calcare il palco?
Io adoro tutte e tre le realtà anche se il registrare mi mette in un doppio stato d’animo di euforia e malessere. Quella sensazione di star incidendo in modo univoco e in parte indelebile delle idee mi mette sempre un po’ “emotivamente fuori controllo”. Mi eccita il registrare ma ho sempre dentro quel tarlo che non è mai contento al 100% e vorrebbe cercare la strada perfetta…che ovviamente non c’è…
Come gruppo preferiremmo suonare, cosa che purtroppo abbiamo fatto troppo poco in questi anni, pur avendo fatto dei bei concerti anche all’estero, ma sempre troppi pochi rispetto a quanti se ne dovrebbe fare… Ma dicono che il metal e il rock siano morti, che il progressive sia finito qualche decade fa e in tutto questo l’essere di base in Italia non aiuta di certo…

Capita spesso che le band meno conosciute debbano scendere a compromessi per suonare dal vivo, intendo farlo gratis o pagare…cosa ne pensate?
Boom. Domanda infinita. Domanda semplice, quindi di complessa risposta. Astraendoci dal contesto socio/economico la risposta sarebbe che pagare per suonare è una tragedia. Punto. Ci dovrebbe essere un minimo salariale per singolo musicista a concerto eseguito da cui iniziare a ragionare. Ma scendendo nella realtà odierna ci sono dei dati di fatto con cui confrontarsi imprescindibili, che fanno diventare questa affermazione relativa. Sono, anche queste, cose molto delicate di cui parlare. Non voglio toccare l’argomento di chi “meriti” di essere pagato e chi no perché mi metterei dentro un labirinto senza via d’uscita. Per cui non voglio parlare di “qualità” di chi suona o della musica che viene suonata. Ma non perché questo sia di seconda importanza, per me è centrale, ma perché il rischio di essere travisati è troppo alto, scrivendo. E anche perché in fondo la problematica per cui si è arrivati a dover pagare per suonare non è tanto la qualità ma la quantità. Mi spiego meglio. È un dato di fatto che in questi ultimi decenni con l’avvento delle tecnologie digitali e di internet (tantissime informazioni potenzialmente raggiungibili in un secondo, in modo totalmente impensabile solo pochi anni fa) il numero di fruitori ma soprattutto esecutori (!) è aumentato in maniera imbarazzante. Tutti oggi possono imparare i rudimenti di suonare uno strumento facilmente, online, e comprandosi a basso costo strumenti dignitosi. Tutti oggi possono, a costi ridotti, registrare il proprio disco dignitosamente, non dovendo per forza essere profondi conoscitori del proprio strumento. Tutti oggi possono distribuire la propria musica online, farsi un sito, raggiungere gente con i social. Tutti oggi possono esserci. Essere presenti con prodotti finiti. D’altro canto oggi tutti possono aprire un’etichetta, un’agenzia di promozione, di booking, di distribuzione… Tutti fanno tutto.
Il punto di equilibrio si è rovesciato rispetto a com’era una volta.
Una volta c’erano le case discografiche a vari livelli d’importanza con i soldi, c’erano dei gruppi che suonavano. Le case discografiche dovevano trovare i gruppi di maggior talento per poi proporli, quindi produrli, promuoverli e distribuirli. Per cui c’erano degli scout, che avevano vero potere, che cercavano la qualità, il talento, l’innovazione, facevano a gara per scovare il nuovo, il futuro e lanciarlo. C’erano due o tre canali di comunicazione e tutti seguivano quelli (radio, tv, giornali).
Oggi ci sono i gruppi, tanti, tantissimi, a valanghe, talmente tanti (ma tanti) che è come se non ci fosse più nessuno. Gli scout, nessuno sa se esistano o meno (sono figure mitologiche ormai) non saprebbero dove guardare e quelli che ci sono guardano il numero di like che hai sulla tua pagina facebook e il numero di visualizzazioni su youtube. La tua musica generalmente no, poiché il problema è che i soldi li devono guadagnare per vivere e non investire su un gruppo valido. Il mercato discografico, quindi le case discografiche, sono crollate a pezzi sotto i colpi battenti della vendita digitale e della pirateria. I canali di comunicazione sono implosi dinnanzi a internet (quindi i social) che è stato come aprire la porta ad un altro intero mondo sconosciuto che ha talmente tante vie e canali d’informazione dentro se stesso che è quasi come se non ce ne sia più nessuno. Senza considerare che per i locali fare musica tra siae (almeno in Italia) e altre cose, far fare i concerti è diventata una spesa e basta.
Lo scenario è: una miriade impensabile di gruppi, nessun potere economico delle case discografiche, nuovi, potenti e non realmente gestibili canali d’informazione. I responsabili della qualità dei gruppi di “ieri” erano i team di esperti delle case discografiche, che valutavano le band da lanciare relativamente alle potenzialità che ci vedevano dentro e la linea che voleva seguire la casa discografica. Le band che non erano “scelte”, semplicemente non c’erano, non c’era modo di conoscerle e nulla s’intasava. Le band venivano scelte “giovani” e alle band veniva data una strada da poter percorrere professionalmente e su cui puntare al 100% delle proprie forze: la propria musica. Nel ’62 quando ai The Beatles fu prospettata l’inizio della loro carriera e quando furono seriamente selezionati e economicamente sostenuti in tutto, Paul McCartney aveva 20 anni cazzo! A un gruppo di ventenni di buon talento hai dato la possibilità di dedicarsi al 100% della loro vita nella cosa che amano fare! Investivano sul talento per coltivarlo almeno altri dieci anni prima di lasciarlo andare! I Pink Floyd nel ’67 buttavano fuori un disco che si piazzava sesto nelle classifiche inglesi di vendita e il gruppo aveva queste età: Gilmour 21 anni, Waters 24 anni, Barrett 21 anni, Mason 23 anni, Wright 24 anni e li hanno messi nella condizione perfetta per poter continuare ad esprimersi al 110% del loro tempo e delle loro forze! Kurt Cobain, quando i Nirvana ancora poco conosciuti, riuscirono ad ottenere un contratto con una major nel 1990, aveva 23 anni. Produssero nel 1991 Nevermind, completamente spesati e pagati per farlo, con il supporto della major e pochi mesi dopo vendevano 400.000 copie scalzando Michael Jackson dal primo posto in classifica.
Ciò che voglio dire è che oggi le case discografiche non possono più investire tempo e denaro su artisti in cui credono e in cui vedono talento per cui cercano chi già ha i soldi per investire su se stesso e ha già un numero elevato di fan. I gruppi lo hanno capito e tutti indistintamente corrono a comprarsi i concerti perché è ancora, nonostante tutto, l’unico vero modo di farsi vedere e sentire, le agenzie di booking ci si sono buttate dentro con il cuore pieno di gioia! Propongono pacchetti da 10.000/15.000 euro per fare un tour di un mese con un gruppo famoso dove i gruppi piccoli e poco conosciuti pagano per firmare un contratto in bianco, in pratica, perché di solito non si ha nemmeno la certezza che poi si suonerà davvero tutti i concerti prestabiliti. Se il tour bus è in ritardo il gruppo di apertura, che di solito è il primo di quattro di una serata (quindi suonerà mezz’oretta mentre fuori si vendono i biglietti per il concerto) non suonerà. Se vorrà vendere cd dovranno avere un prezzo più alto di quello del gruppo principale (vi immaginate una persona che compra il disco dei Nefesh a 30 euro e quello dei Dream Theatre nello stesso tavolino a 20?). Ma a tutti va bene che le band paghino per suonare, nessuno muove un dito per opporsi, anzi! E’ un business dove tutti ormai vogliono entrare, tutti si reinventano, spesso improvvisandosi, organizzatori di concerti a pagamento. I festival chiedono soldi per farti suonare, le agenzia chiedono soldi per farti suonare, le case discografiche chiedono soldi per farti stampare un disco e le band pagano, perché non vedono un’altra strada. Il dramma è che sembra non esserci un’altra strada. Infondo questo discorso va bene anche alla maggior parte delle band, perché così hanno un modo chiaro e certo di poter fare i concerti. Quelli che hanno soldi. Oggi la differenza la fanno i soldi: se hai i soldi diventi famoso in un modo o nell’altro, se non hai i soldi devi avere qualche divinità che tiene a te, e sembra che quelle del metal non siano più così tanto potenti, purtroppo. Di certo meno potenti dei soldi…

Bene ragazzi, vi ringrazio per il tempo che mi avete concesso, lascio a voi le ultime parole per salutare i nostri lettori. A presto!
Come dicevo all’inizio dell’intervista vi ringraziamo per questo spazio, per la vostra presenza nonostante tutte le difficoltà e per il lavoro che fate con questa webzine (spero sia corretto chiamarvi così).
Salutiamo con grandissimo affetto e gratitudine i lettori che sono arrivati sino in fondo a questi pensieri e ricordiamo i principali canali per mettersi in contatto con noi e per sentire un po’ della nostra musica:

www.facebook.com/nefeshband

info@nefesh.eu

Un abbraccio rock a tutti!

Immagine in evidenza: FEDE PEREZ