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Rhapsody: “Prometheus Symphonia Ignis Divinus” – Recensione

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Se con “Ascending to Infinity” i Rhapsody di Luca Turilli erano sul palco di un grande teatro portando in scena un’Opera, con “Prometheus Symphonia Ignis Divinus” il proscenio è diventato un’enorme porta che dà su un mondo fantastico fatto di miti e creature mastodontiche, di scale vocali che portano all’infinito, di arrangiamenti che rasentano la perfezione corale di una grande orchestra. E di una grande mente.

A meno di esaltanti sorprese, questo album si appresta ad essere la migliore release dell’anno. E non crediate che sia una cosa scontata solo perchè c’è il “nome”. Anzi.
I Rhapsody erano attesi al varco, per tutta una serie di ragioni. Innanzitutto ripetere il sucesso del primo album poteva essere un ostacolo, anche mentale.
La prova è stata superata perchè nel giro di tre anni Turilli ha dato sfogo a tutto ciò che di migliorabile era stato evidenziato nel primo album, portando l’offerta del progetto musicale ad un livello sublime. Ecco… Se proprio vogliamo essere cinici, i Rhapsody dovranno stare attenti al terzo disco perchè l’asticella ha già raggiunto il picco.

“Prometheus Symphonia Ignis” si apre, come è giusto che sia, con una intro epica giusto per farci mettere comodi e rassicurarci che l’anima della band è lì che fluttua nell’aria, anche se con ali diverse.
Come una fiaba, “Il Cigno Nero” dà il vero inizio all’album: inizia la cavalcata su percorsi edulcorati, mentre sventola il vessillo del power ed accompagna un Alessandro Conti in stato di grazia, agile e veloce nel percorrere le scale. Non con le gambe, ma con la voce.
Resta il dualismo linguistico: il genio Turilli, in continuo conflitto interiore tra realtà e fantasia, tra verità e misteri nascosti, porta nell’arena a contendersi la gloria sia l’inglese che l’italiano, non disdegnando inserti in latino per conferire ulteriore epicità ai brani,
Come in “Rosenkreuz (The Rose And The Cross)” dove il viaggio immaginario inizia con le liturgie di stampo gregoriano.
Ma è la componente Cinematic ad essere la vera chiave di lettura dell’album. Si narra che un viaggio in Nuova Zelanda abbia ispirato “One Ring To Rule Them All“: i più attenti sapranno subito collegare la traccia al film (senza nulla togliere a Tolkien) ed infatti il filo conduttore è proprio quello. Aggiungerei anche la nota vicinanza con l’attore recentemente scomparso Christopher Lee, con il quale Turilli ha collaborato negli anni scorsi. Chissà se “Saruman” ha avuto modo di ascoltare in anteprima questo pezzo, questo album… Ne sarebbe stato sicuramente orgoglioso.
Ancoraggio con il passato nella traccia “Notturno“: è lirica, è ensamble di voci e piano alla quale si aggiungono via via gli altri strumenti.
Completa di gloria, potere e velocità è la “quasi” titletrack, “Prometheus“: probabilmente il brano manifesto dell’album per la sua integrità compositiva.
Da menzionare poi ci sono anche “King Solomon And The 72 Names Of God” e “Il Tempo Degli Dei“: la prima, fedele all’estrazione storica che intende raccontare, offre sonorità di matrice orientale che a tratti ricorda le odalische fluttuanti che compaiono random nel singolo del 2012 “Dark Fate Of Atlantis”. Nella seconda invece è stata inserita la voce originale del fisico italiano Gustavo Adolfo Rol, vero e proprio faro per Turilli, quest’ultimo capace di adattare in musica i presunti fenomeni paranormali delle teorie dello studioso.
Chiude la release “Of Michael The Archangel And Lucifer’s Fall Part II: Codex Nemesis” che è essa stessa un’opera nell’opera, con la suddivisione in ulteriori cinque parti. Risultato? 18 minuti di continue cavalcate melodiche, dove è possibile apprezzarne anche l’approccio ad un epic power molto più classico.
Potrei scrivere per giorni. Potrei raccontarvi ogni singolo pezzo, ma ciò non sarebbe comunque congeniale alla causa di presentazione del disco.
“Prometheus, Symphonia Ignis Divinus” è un album che va ascoltato senza pregiudizi e con attenzione. La conquista di un ampio consenso è l’unica via possibile, se non altro perchè non si può negare l’innato talento compositivo di Luca Turilli, artefice di continue ispirazioni per le band sinfoniche di oggi.