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Rise Above Dead: “Heavy Gravity” – Recensione

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Rise Above Dead

Spesso l’approccio ad un album strumentale non è dei più semplici, dal momento che è facile naufragare tra tecnicismi assoluti o atmosfere soporifere, considerando i due estremi, ma non è questo il caso dei Rise Above Dead, i quali con “Heavy Gravity” riescono a mantenere sempre alta l’attenzione.

La band milanese non nasce strumentale, ma lo diventa forzatamente dopo l’abbandono da parte di Andrea Rondanini, evento che non ha influito sul mood dell’attuale four pieces, in quanto i Nostri si sono rimboccati le maniche ed hanno proseguito per la loro strada, con l’intenzione di dar vita al successore di “Stellar Filth” pubblicato nel 2012. Rispetto alla precedente release lo stile della band non è cambiato molto nella sostanza, in quanto il tappeto musicale che prima faceva da supporto alla voce è rimasto abbastanza fedele, ma con un focus ben più marcato sulle sfumature create dai vari livelli di ascolto.

Possiamo chiamarlo Post- Rock, Sludge, Alternative, Post-Hardcore, sinceramente in questo caso non trovo utile una catalogazione ben precisa, perché i sei brani che costituiscono la tracklist spaziano attraverso questi generi e li fondono sapientemente tra loro. Ci sono riff monolitici, che avanzano con l’incedere inesorabile di una schiacciasassi, ma allo stesso tempo le chitarre di Stefano Bigoni e Matteo Sala riescono a creare melodie distensive, che hanno poi la capacità di trasformarsi in progressioni ansiogene. Ottimo anche il basso di Diego Leone, il quale non si limita e fare il paio con la batteria di Luca Riommi, ma cerca e riesce molto bene nell’intento di creare melodie che vivono di luce propria. Per quanto riguarda il drummer, il suo stile non è mai invadente, ma ha la capacità di sottolineare nel modo più opportuno le mille emozioni che animano le tracce.

Tra le varie qualità di questo lavoro, sicuramente c’è da sottolineare il tentativo, pienamente centrato, di non abbandonarsi a masturbazioni tecniche, evitando al contempo quelle elucubrazioni eccessivamente atmosferiche che sembrano relegare i musicisti nel loro mondo, dal quale l’ascoltatore viene escluso. “Heavy Gravity” riesce invece a coinvolgere ed inondare con un carico di emozioni che si susseguono come in un cammino tortuoso fatto di salite improvvise e facili discese.

Senza ombra di dubbio non si tratta di un album adatto alle masse, ma verrà sicuramente apprezzato da chi vede nella ricerca e nell’esplorazione sonora un fronte oltre il quale spingere i propri orizzonti.