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Shores Of Null: “Beyond The Shores”, un disco riflessivo, intimo, cupo, come è stato questo anno

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Gli Shores Of Null hanno da poco pubblicato il nuovo lavoro discografico “Beyond The Shores (On Death And Dying)”, costituito da una singola traccia di 38 minuti, un concept ispirato alle fasi di accettazione del lutto teorizzate dalla psichiatra Elisabeth Kübler-Ross. Ne abbiamo parlato con Gabriele Giaccari, chitarrista della band.

Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di Metal In Italy. E’ da poco uscito Beyond The Shores (On Death And Dying). Prima di parlare dell’album dal punto di vista musicale, vorrei chiedervi qualcosa sulla copertina. Cosa rappresenta a livello concettuale?

Gabriele: L’intero brano è ispirato alle fasi di accettazione del lutto teorizzate dalla psichiatra Elisabeth Kübler-Ross nel 1969. Abbiamo immaginato questo passaggio come una transizione dal nero delle iniziali rabbia e negazione, fino al bianco della depressione e poi accettazione, quasi pacifica nella sua rassegnazione. Avevamo già deciso di lavorare con la fotografa Sabrina Caramanico, riconosciuta artista abruzzese che ci ha colpito molto per l’intensità dei suoi scatti. La foto scelta degli alberi spogli immersi nella nebbia e nel freddo dell’inverno che vanno svanendo nel bianco era perfetta per esprimere il concept che avevamo in mente e in particolare la fine di questo ciclo, l’accettazione.

Nell’album c’è una singola traccia di circa 38 minuti, come mai questa scelta? È stato concepito in questa formula sin dal principio? E perché avete scelto di trattare la tematica delle diverse fasi del lutto?

G: Questo disco ha una storia molto particolare. Avevamo già concluso la composizione di quello che pensavamo sarebbe stato il nostro terzo album, ancora inedito e in cui crediamo molto. Ma prima di entrare in studio abbiamo passato alcuni momenti particolarmente bui come band, soprattutto nel rapporto con la precedente label, ed eravamo molto preoccupati per il futuro. Abbiamo deciso quindi di rimetterci a comporre qualcosa di nuovo, da usare eventualmente come uscita sperimentale per prendere tempo prima di trovare la giusta casa per l’altro album. Abbiamo deciso di provare qualcosa di completamente diverso dal nostro modo di comporre, che fosse più disperato e depressivo, scegliendo di comporre un’unica lunga traccia funeral doom. Sinceramente non pensavamo si sarebbe evoluta in questo modo, e che per fortuna l’avremmo potuta pubblicare con una nuova label, Spikerot Records. In ogni caso, la composizione è durata molto poco, quattro o cinque giornate distribuite in circa un mese, e man mano che il brano prendeva forma era sempre più evidente l’andamento narrativo del tutto. Mi ero imbattuto per caso negli studi della Kübler-Ross in quei giorni, e ci è sembrato che la tematica trattata in “On Death And Dying” calzasse alla perfezione col mood del brano. Presa questa decisione, lo abbiamo terminato e Davide ha composto il testo basandosi sempre su questa tematica.

Per quanto riguarda la composizione, come si differenziano queste cinque fasi?

G: Anche negli studi della Kubler-Ross, le fasi non si susseguono in un modo preciso. In forme che cambiano da individuo a individuo, una o l’altra fase si alternano e prendono il sopravvento con un pattern non ben definito. In modo macroscopico, nella parte iniziale si concentrano di più la rabbia e la negazione, per poi evolversi verso la contrattazione e la depressione, e concludersi con l’accettazione, anche se ogni fase riaffiora in modo più o meno evidente di tanto in tanto. La musica rispetta esattamente questa idea, ci sono fasi più evidenti in alcuni momenti, o in generale riff che associamo a una o l’altra fase, che tornano in punti diversi del brano. In effetti, come varie persone hanno sottolineato, questa è a tutti gli effetti una ‘lunga canzone’, che ha una sua struttura e una sua ciclicità, non un insieme di brani suonati di seguito.

Ascoltando la traccia ci sono passaggi lenti e cadenzati, dal carattere Doom, che si alternano ad altri più veloci ed incalzanti. Cosa rappresenta per voi questo dualismo?

G: Proseguendo il discorso di prima queste fasi sono una sorta di altalena di emozioni. Le parti più lente o coi growl più profondi, sposano bene la rabbia, o in altri momenti la depressione e l’apatia, quelle più veloci e violente la negazione, la fuga, o l’accettazione e la liberazione finali. Da un punto di vista strettamente musicale, nonostante le nostre band di riferimento siano piuttosto evidenti, ci è sempre piaciuto spaziare tra momenti più doom e parti più veloci. In questo caso abbiamo estremizzato il divario, e sperimentato anche passaggi con strumenti classici o voci femminili ad esempio, cosa che per noi è una novità.

Nell’album ci sono diversi ospiti. Come li avete scelti e qual è stato il loro contributo?

G: Vista la lunghezza del brano e l’approccio molto narrativo, abbiamo pensato che diversificare queste voci narranti potesse essere una buona idea. Abbiamo avuto la fortuna e l’onore di suonare insieme ai Saturnus diversi anni fa, band di cui siamo grandi fan, e siamo rimasti in ottimi rapporti con tutti loro e nel caso specifico con Thomas A.G. Jensen, cantante iconico nel panorama doom mondiale per il suo growl profondissimo e le sue parti parlate coinvolgenti. Alcuni dei riff erano veramente perfetti per lui, e così gli abbiamo proposto di partecipare. Allo stesso modo c’erano parti del brano che sarebbero state perfette per Mikko Kotamäki, incredibile voce degli Swallow The Sun, altra band che per noi rappresenta una costante ispirazione. Lo abbiamo conosciuto grazie ad amicizie comuni, e incontrato durante il tour italiano degli STS del 2019, momento in cui gli abbiamo proposto la collaborazione. Sia lui che Thomas hanno accettato di buon grado di partecipare sul disco. E così a gennaio del 2020 sono venuti a Roma per alcuni giorni, separatamente. Abbiamo passato tempo insieme, lavorato sui brani, registrato le loro parti e mangiato la carbonara. Tutto molto bello.
Per la voce femminile abbiamo avuto l’immensa fortuna di trovare praticamente ‘in casa’ una delle cantanti più brave del panorama metal italiano attuale, Elisabetta Marchetti, voce degli Inno. L’intesa tra lei e Davide è stata da subito perfetta. A completare le voci, lo scream violentissimo che potete ascoltare nella prima parte del brano è quello di Martina L.McLean, autrice anche di tutti i nostri video da Quiescent in avanti, nonché mia moglie 🙂
A completare la lunga lista di featuring, Paolo Campitelli, tastierista tra gli altri dei Kaledon, che ci aiutato per la parte centrale di pianoforte, e Fabio e Valentina Gabbianelli al contrabasso e al violino, già presenti anche su Black Drapes For Tomorrow nei due brani acustici.

L’album è stato registrato, mixato e masterizzato da Marco “Cinghio” Mastrobuono che, tra l’altro, è uno degli ospiti insieme alla consorte Elisabetta Marchetti. Qual è stato il suo apporto in termini di resa sonora dell’album?

G: Io personalmente sono amico di Cinghio da tantissimi anni, abbiamo suonato insieme anche nella mia band prima degli Shores, i The Orange Man Theory. Abbiamo registrato al suo Kick Recording Studio fin dal primo disco, sempre con risultati eccellenti, quindi non ci saremmo mai sognati di cambiare. Ci fidiamo di lui ciecamente, lasciandogli la responsabilità di trovare i suoni migliori. In questo caso ci aiutato anche con la registrazione del basso, perchè Matteo era già tornato in Olanda, dove vive attualmente, dopo aver registrato le tracce per l’altro disco. E ci ha inoltre suggerito di fare alcune delle riprese al favoloso Bloom Recording Studios di Fabrizio Ludovici, con risultati effettivamente ottimi. Oltre a essere un nerd delle distorsioni e avere un orecchio speciale per mix e mastering, è anche maniacale al punto giusto in fase di riprese, curando i minimi dettagli, dalle corde che risuonano da tenere stoppate, all’inclinazione del giusto plettro per il giusto riff, l’accordatura perfetta, i cavi di qualità e tante altre cose che fanno la differenza tra un prodotto professionale e un demo amatoriale. Ma ora non vorrei allargarmi in troppi complimenti che poi si monta la testa.

La registrazione si è conclusa poco prima della pandemia del Covid-19, a febbraio. Come avete affrontato i mesi del lockdown e come state affrontando questa seconda ondata?

G: Bella domanda. Tralasciando le nostre vite in epoca Covid tra quarantene e mascherine, ma concentrandosi solo sulla musica e sulla band, il primo lockdown è stato anche per noi devastante. Come dici giustamente, avevamo appena completato le registrazioni, e col master in mano, stavamo iniziando la ricerca di qualche label interessante per i nostri 2 album. Il giorno dopo aver inviato la prima email è stato dichiarato il lockdown. In quei giorni in particolare si è generato un certo panico, soprattutto nel mondo della musica, che poi tra l’altro si sarebbe rivelato del tutto giustificato, purtroppo. Le label interessanti ci hanno fatto capire che vista la situazione tutto si sarebbe bloccato. E così ci siamo bloccati anche noi, riflettendo sul da farsi. Man mano che si capiva che le cose non sarebbero migliorate in breve tempo, abbiamo iniziato a maturare l’idea di rimandare l’uscita del “vero” album a momenti migliori, e provare invece a far uscire questo, che sempre di più si sposava perfettamente con il periodo che stiamo vivendo. Abbiamo deciso inoltre di mantenerne un forte controllo, soprattutto alla luce delle precedenti esperienze con le etichette, e Spikerot si è rilevata essere la label perfetta in questo contesto: giovane, affidabile, con poche uscite ma di tutto rispetto e tantissima voglia di lavorare, e che conta nel team anche Davide, il che ci permette una totale sinergia tra band e label. La fine del primo lockdown quindi, e questo secondo che stiamo vivendo attualmente, li abbiamo usati per stare al pc e lavorare alla promozione più a fondo di quanto non avessimo mai fatto, finalmente senza i bastoni tra le ruote di una etichetta assente, e i frutti si stanno vedendo. Abbiamo inoltre girato a novembre il video da poco uscito.

Purtroppo immagino che sarà difficile, se non impossibile, portarlo in giro per l’Italia e all’estero. Quanto inciderà sulla promozione dell’album?

G: Sapevamo che uscire a Novembre del 2020 avrebbe significato questo, ma abbiamo ritenuto che per questo disco specifico andasse bene così. E’ un disco più riflessivo, intimo, e molto cupo, come è stato questo anno. Penso che le persone chiuse in casa per i vari livelli di quarantena siano più propense ad ascoltare un brano funeral doom di quasi 40 minuti rispetto ad altri momenti storici.
Chiaramente la mancanza dei live inciderà sulla promozione, ma contiamo di portarlo dal vivo per intero appena si potrà fare. Nello specifico abbiamo 2 grandi festival la prossima estate (Metal Days e Luppolo in Rock), speriamo proprio si possano confermare.
In compenso però abbiamo realizzato un video per l’intera durata del brano. Un’impresa un bel po’ folle, e a quanto pare abbastanza unica nel suo genere, resa possibile solo grazie a Martina L.McLean e all’incredibile team di Sanda Movies, che dai tempi di ‘Quiescence’ realizzano tutti i nostri video, e che questa volta hanno realizzato un’opera intensa e molto emotiva che aggiunge un valore immenso al brano, e che da quando è stata pubblicata ha riscosso pareri entusiastici da tantissime persone.

Rimanendo in tema, avete notato un incremento delle vendite di CD, merch, digital download? Intendo come forma di supporto da parte dei fan.

G: In effetti si. Difficile dire se sia dovuto all’assenza di concerti e al Covid però. Per questo album stiamo lavorando alla promozione in un modo che non è mai stato fatto in precedenza per noi, e sicuramente raccogliamo qualcosa da questo. E poi ogni disco è un caso isolato in fondo, magari questo sta piacendo semplicemente di più del precedente.

Quest’anno volge al termine; qual è il vostro auspicio per il 2021?
G: Chiaramente può sembrare banale, tipo ‘la pace nel mondo’, ma veramente l’unico auspicio che penso tutto il pianeta possa farsi oggi è quello di uscire da questa situazione data dalla pandemia. Ho amici che hanno perso il lavoro, aziende chiuse, locali chiusi, musicisti che non sanno più cosa inventarsi. E’ terribile.

Ragazzi, vi ringrazio per l’intervista. Lascio a voi le ultime parole per i nostri lettori.

G: Grazie mille a voi, invito i lettori di Metal In Italy ad andare a vedere il video di Beyond The Shores (On Death And Dying) sul nostro canale youtube e supportarci tramite Bandcamp, il nostro sito www.shoresofnull.com o quello della nostra etichetta www.spikerot.com. E ci vediamo ai prossimi live, appena si potrà!