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Strange Here: “II” – Recensione

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Sto fumando una Winston Blu mentre ascolto “II“, l’album gioiello degli Strange Here… Curioso il fato, quando vedi che tra i ringraziamenti di “Dom” Lotito, una delle due anime della band (l’altra è Alexander Scardavian…) ci sono anche le bionde più vendute in America.
Curioso perchè il fumo della sigaretta non è in grado di creare quel vortice policromatico di sensazioni che lo Psychedelic Doom è capace di generare.
Il duo di Cesena con “II” piomba sulla scena per innalzare il livello di chi è un addicted del genere proposto. Quando si decide di dedicarsi allo Psychedelic Doom si può incappare nell’errore di essere tremendamente ripetitivi. Gli Strange Here hanno trovato la formula… e sono generosi perchè con questo album la svelano.
Cadiamo in errore se diciamo che “II” è anche rock? A modo suo, certo. Ma le caratteristiche graffianti della prima e dell’ultima traccia in tracklist, fanno pensare ad un ciclo che si apre e si chiude, ad un abbraccio che rafforza le sue estremità per accogliere la vera essenza della band.

Le canzoni in questione sono “Still Alone” e “Shiftless”: due brani che partono ben cadenzati, dimostrando anche la vicinanza del duo alle sonorità della vecchia scuola anni 70.
Confonde il disequilibrio vocale di Alexander… Probabile che il vortice psichedelico abbia già iniziato a girare, come a voler preparare l’ascoltatore a ciò che verrà dopo, senza darlo subito in pasto ai leoni. Di “Still Alone” è apprezzabile l’utilizzo che viene fatto dei cori, mentre il registro cambia totalmente in “Kiss of Worms”: è il doom allo stato puro, dove non vi è ancora la componente psichedelica perchè l’incubo nel quale si piomba è assolutamente reale.
Il pathos e la disperazione diventano palpabili in “Born To Lose”, brano che tra l’altro ospita Richie Raggini alla batteria, anche se l’assolo di chitarra che accompagna il pezzo per tre quarti della sua lunghezza è il vero protagonista.

“Black, Grey And White” sono i colori della caverna dalla quale riecheggia la voce di Alexander: una candela dalla luce fioca accompagnata dalla maestria ad organo e tastiere di Enri Zavalloni che certo non si scandalizza se all’improvviso da quella stessa caverna esce fuori un “My dick is in your mouth…”.
Eppure c’è dolcezza in questo disco. “Only If” è un brano che resta soft e docile per tutta la sua lunghezza; anche gli arpeggi di Dom sono delicati. Persino Alexander è delicato: la voce diventa sospiro, ogni singola parola viene liberata della sua anima. Non sono solo testi quelli degli Strange Here: sono invocazioni, sono rivendicazioni, sono dannazioni urlate, prima sottovoce e poi con rabbia.

Chiude “Shiftless” che, come detto, abbandona il classico stile doom italiano per riprendersi un po’ di vita, anche perchè non è esplicitato, ma “II” è l’album che in qualche modo segna un inizio, un nuovo inizio e non possiamo che appoggiare la scelta di rinascere attraverso la musica.