Home Interviste Strike Avenue: “Le band vanno scelte per il loro valore, non per...

Strike Avenue: “Le band vanno scelte per il loro valore, non per soldi o conoscenze”

SHARE

I calabresi Strike Avenue stanno lavorando al quarto album in carriera. Abbiamo colto così l’occasione per fare il punto della situazione ed approfondire argomenti quali il pay to play, il Deathcore ed il “The Evil Upon Us Festival”, di cui sono gli organizzatori e che giungerà quest’anno alla terza edizione.

Ciao ragazzi, benvenuti su Metal In Italy. Gli Strike Avenue sono di casa sul nostro sito, ma vorrei che iniziassimo l’intervista con una vostra introduzione. Quali sono le tappe fondamentali della vostra carriera?

PHIL: Ciao Stefano! Prima di tutto vorrei ringraziare te e tutta la redazione di Metal In Italy per tutto lo spazio che ogni volta ci dedicate. Se abbiamo visibilità è grazie a persone come voi. Nell’arco dei nostri nove anni di attività siamo riusciti a toglierci qualche soddisfazione. Abbiamo diviso il palco con Sadist, Metal Gang, Buffalo Grillz, Mellowtoy, Novembre (per citare band più famose) collaborato con il guru dei lyric video Scott Rudd (Thy Art Is Murder, Chelsea Grin, Fear Factory, Opeth, ecc), abbiamo prodotto 3 album, un ep, diversi singoli e siamo riusciti nel corso del tempo anche a crearci un gruppo di fan che ci segue con tanta passione dall’estero. Sono queste le tappe fondamentali che hanno caratterizzato finora il nostro percorso.

Attualmente state lavorando al quarto album, come abbiamo già detto sarà il più oscuro, tecnico e pesante tra le vostre release. Come si è evoluto il vostro sound e quali le differenze rispetto agli esordi?

JOHN: Come ben sai nel corso degli anni, fin dal nostro esordio nel 2008, abbiamo sempre cercato una evoluzione nella stesura compositiva, passando da un progressive metalcore del primo album, ad un deathcore degli anni successivi. Per questo lavoro stiamo mettendo in campo aspetti piu tecnici ed oscuri nel sound e nella composizione, per non rimanere mai schiavi di un genere, ma cercando di esprimerci sempre in maniera innovativa.

Quanto conta la tecnica nella stesura di un brano? O più in generale nell’economia di una band? Qual è il giusto equilibrio tra tecnica, cuore e passione?

JOHN: La tecnica nella musica è fondamentale, ma non deve essere mai fine a se stessa. Deve servire per consentire a chi compone e suona, di poter esprimere musicalmente le idee che vuole trasmettere. Sicuramente sarà un album con brani veloci e articolati, per cui è necessario far un buon uso della tecnica strumentale.

Avete già fissato l’uscita dell’album? A che punto è la lavorazione e…dobbiamo per caso aspettarci qualche ospite eccellente?

PHIL: Al momento non abbiamo fissato nessuna data per il release del nostro quarto album, ma non vogliamo nemmeno che passi molto tempo. Ci teniamo moltissimo che il pubblico senta il prima possibile quello che stiamo facendo. Proprio per questo terremo sempre aggiornati, soprattutto con dei piccoli chapter-video, chi ci segue su tutto quella che è la costruzione di un intero album a 360°. Adesso stiamo arrangiando pezzi già scritti, creando nuove canzoni e nello stesso momento stiamo curando i suoni di ogni singolo strumento.
Molto probabilmente ci sarà la partecipazione di qualche cantante nostrano e forse anche di qualcuno d’oltreoceano. Ma ora non vogliamo svelare nulla.

Negli ultimi tempi ci sono anche stati diversi cambi in formazione. Cosa è cambiato negli Strike Avenue con i nuovi innesti? Pensate di aver raggiunto il giusto equilibrio al momento?

JOHN: Riallacciandomi alla domanda precedente, questo 2017 vede un cambio di line-up con l’innesto di una chitarra che affiancherà alla pari la mia, alternandoci nelle parti solistiche o ritmiche. Il nuovo arrivato nel gruppo è uno dei più promettenti chitarristi di generi metal moderni nella nostra realtà territoriale, precisando che è un classe 1996. Con Giuseppe “Beengo” abbiamo guadagnato un innesto che si rivelerà determinante nella stesura e nell’esecuzione dei nuovi brani. Inoltre è un ragazzo davvero in gamba con il quale si è gia instaurato un ottimo rapporto di amicizia, cosa che noi riteniamo alla base di tutto, sempre. Tralasciando me e Phil, ora l’età media del gruppo si è abbassata notevolmente, considerando anche l’innesto alla batteria di Adrea “Grim” nel corso del 2016, il quale è uno dei primi nati di questo millennio (si hai capito bene, è del 2000!).

Perché avete deciso di dare alla band l’impronta Deathcore? Un genere molto apprezzato, ma allo stesso tempo considerato da altri come una “storpiatura” della radice Death…

PHIL: L’idea di suonare ormai da anni questo genere non è stata una scelta a tavolino o condizionata dalle mode, ma è stata una naturale evoluzione del nostro modo di interpretare il metal. Suonare deathcore per noi vuol dire essere liberi di esprimerci in questo macrogenere che fonde in sé una moltitudine di influenze come il death metal classico, l’hardcore, il progressive, il djent di ultima generazione. E soprattutto per me che sono il cantante adoro esprimermi vocalmente come il genere solitamente richiede. Ci sta sempre il defender di turno o il detrattore che indica come non puro un genere quando non si eseguano i soliti schemi, ma come giusto che sia il genere metal è bello perché dà la possibilità ad ognuno di esprimersi come vuole e, di certo, non ci facciamo condizionare se qualcuno pensa che il deathcore possa essere una storpiatura. Per me è semplicemente un’ evoluzione del deathmetal classico.

Com’è la situazione musicale nella vostra terra, la Calabria? Ci sono band valide o strutture che danno spazio ai gruppi emergenti e non solo alle cover band?

JOHN: Dunque questo argomento meriterebbe una bella discussione a parte secondo me. Band valide ce ne sono, musicisti altrettanto validi anche, ma ciò che forse manca è una maggiore coesione tra gruppi, la cosiddetta “scena” che aiuterebbe tutti a crescere e a far sempre meglio nella nostra terra. Si sta alimentando un movimento di giovani che ci segue da un paio di anni ormai e che sono diventati fedeli sostenitori degli Strike che ci rendono sempre orgogliosi ovunque andiamo a suonare.

Tra l’altro voi siete tra i fautori del “The Evil Upon Us Festival”. Come è andata la scorsa edizione? State già pensando alla prossima?

JOHN: Si, la seconda edizione andata in scena a fine dicembre 2016 è andata molto bene, confermando le presenza e la passione del pubblico e dei musicisti che abbiamo riscontrato gia nella prima edizione nel 2015. Questo è un evento che con Phil intendiamo portare avanti il più possibile per festeggiare con tutti gli appassionati della musica estrema della nostra terra, la fine dell’anno trascorso. Noi siamo musicisti per passione, sia io che Phil lavoriamo e nella vita, nel bene e nel male, ci occupiamo di altro, ma quando si tratta di suonare, di produrre ed organizzare qualsiasi cosa, mettiamo in campo tutta la professionalità, la passione e la precisione che ci contraddistingue. Solo cosi abbiamo potuto invitare, in questa seconda edizione, una band di top player quale i Buffalo Grillz da Roma, capitanata dai nostri amici Marco Mastrobuono ed Enrico Giannone, e la band degli Unison Theory sempre da Roma, che si sono dimostrati dei musicisti ineccepibili e delle gran belle persone! Ne approfitto per tanto per salutare tutti i membri dei Buffalo e degli Unison che sicuramente leggono Metal in Italy!
Stiamo già pensando alla terza edizione ovviamente, con lo spirito che ci contraddistingue, ovvero quello sempre di migliorare! Sperando di riuscire a coinvolgere band sempre più note e celebri al pubblico.

Vorrei affrontare con voi un argomento scottante: il pay to play. C’è chi lo vede come un investimento, calcare palchi importanti può aiutare a farsi conoscere, chi invece la vede come una pratica mortificante e degradante per un musicista. Qual è il vostro punto di vista in merito?

PHIL: Personalmente ognuno con i propri soldi ci fa quello che vuole, per cui se una band ritiene di poter spendere una certa cifra, che gli darà il diritto dividere un palco importante con nomi di caratura internazionale, sono comportamenti che non giudico. Detto questo noi come Strike Avenue non lo abbiamo mai fatto, né tanto meno sta nella nostra filosofia e attitudine, per il semplice fatto che una band se vale lo è a prescindere da un investimento del genere, che non condividiamo assolutamente. Si crea un meccanismo dove chi può spendere suona e chi non ha le stesse capacità finanziarie sta a guardare. Le band andrebbero scelte e giudicate solo per quello che valgono, per quello che propongono e non secondo altre regole ovvero soldi o “li conosco e gli facciamo una bella recensione sul mio sito”.

Siamo quasi al termine dell’intervista, ma prima di lasciarci vorrei sapere da voi quali sono gli obiettivi che vi siete posti per il 2017…

PHIL: Abbiamo tutta l’intenzione di far sentire il nostro quarto album ovunque, che arrivi al maggior numero di fan del nostro genere. Vogliamo che questo lavoro lasci il segno per il deathcore italiano, con la speranza di fare come sempre del nostro meglio e di suonare tante volte live per poter portare in giro la nostra musica che facciamo da anni, sempre con grande passione e rispetto.

Grazie mille per il tempo che mi avete concesso. A voi l’ultima parola! Lasciate un messaggio ai nostri lettori e speriamo di incontrarci presto sotto qualche palco.

JOHN: Beh che dire, ringraziamo innanzi tutto te Stefano per lo spazio che ci hai concesso e per la visibilità che ci dai costantemente! Per noi questo è davvero importante e te ne siamo grati! Salutiamo tutti quelli che ci leggono e ci seguono sui social (Facebook ed Instagram in primis) e sul nostro canale Youtube. Vi lasciamo con l’invito a rimanere sintonizzati sulle nostre pagine per non perdere le anteprime del lavoro che stiamo svolgendo per questo nostro quarto album studio!

DEFEND DEATHCORE
DEFEND DEATHMETAL