Home Interviste Constraint: tutti per il symphonic… ma al batterista piacciono i Tool!

Constraint: tutti per il symphonic… ma al batterista piacciono i Tool!

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La voce dei Constraint, quella di Beatrice Bini, è tra le più potenti che abbiamo in Italia, tant’è vero che anche il Vivaldi Metal Project ha voluto affidarsi alle sue sonorità per rendere al meglio la commistione tra opera e metal.
Ma come accade in ogni band, anche nei Constraint convivono varie anime. E così, tocca al batterista Alessandro Lodesani regalare al gruppo quel tocco dark, grazie ai suoi pregevoli gusti musicali!

L’intervista:

Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di Metal In Italy. Prima di presentare il vostro album, vorrei che introduceste i Constraint ai nostri lettori. Come nasce la band e quali sono le tappe fondamentali della vostra carriera?

Ciao Stefano! Grazie mille per averci dato questa opportunità!
La fondazione della band risale al 2011, quando la formazione era un po’ diversa da oggi; eravamo molto giovani e abbiamo iniziato suonando cover rock/metal generiche e ‘cazzeggiando’ in saletta; da quando abbiamo iniziato a comporre pezzi nostri (2012) abbiamo cominciato a valutare seriamente il nostro potenziale. In quell’anno, dopo aver cambiato due bassisti, abbiamo registrato il nostro primo demo, contenente tre brani, presso Mike Pelillo (Kaze Studios). Ci siamo esibiti spesso, generalmente in locali di Modena e provincia. Dopo un cambio di batterista, che ha comportato un cambiamento di stile e una svolta nel processo di maturazione della band, abbiamo cominciato a lavorare a pezzi nuovi. Attraversato un periodo in cui il nostro batterista è stato in erasmus, durante il quale abbiamo fatto qualche live in sua assenza, abbiamo iniziato finalmente a perfezionare i brani composti e a registrarli presso Art Distillery, che non è solo uno studio di registrazione, ma si è occupato anche della grafica del cd e del nostro primo video, uscito nel febbraio 2016 pochi giorni prima prima dell’album.

“Enlightened By Darkness”, come ho scritto nella recensione, è nato già grande, perché ci presenta una band matura e consapevole delle proprie potenzialità. Come siete riusciti ad ottenere la giusta amalgama tra di voi e soprattutto come sono nati i brani? Siete una band che lavora molto in gruppo?

Grazie! Ottenere la giusta amalgama non è stato semplicissimo, perché ognuno di noi ascolta generi diversi. Tuttavia, siamo riusciti a trovare quel denominatore comune che ci permette di unire le idee migliori di ciascuno di noi, assemblandole in un prodotto finito di qualità superiore e più interessante rispetto a quello che uscirebbe se venisse composto tutto da un membro singolo.
I brani di questo album sono nati improvvisando in saletta; quando veniva fuori qualcosa di interessante, ci fermavamo per registrare la parte e per perfezionarla in un secondo tempo. Quindi, tutti i nostri prodotti sono stati partoriti attraverso un lavoro di squadra, magari partendo dall’ ‘ispirazione’ di un membro (generalmente il tastierista) e sviluppando le idee tutti insieme.

L’uscita dell’album è stata preceduta dal video della title track, immagino sia stata scelta perché la più rappresentativa della release, qual è il concept che avete voluto esprimere sia con le liriche che con le immagini?

Esatto: è il fulcro del concept, il momento dell’illuminazione, tappa fondamentale dello sviluppo dell’essere umano, preceduto dalla sofferenza, dal soffocamento causato dalla routine, e seguito da una consapevolezza superiore della propria coscienza, della capacità di prendere in mano la propria vita e il coraggio di essere ‘individui’: coscienze singole e pensanti, ognuna diversa dall’altra.
Il testo tratta di questo tema in modo poetico, attraverso metafore e figure retoriche evocative. La resa visiva del ‘risveglio’ è stata ottenuta grazie all’abile truccatrice Silvia, che ha disegnato degli occhi sopra le nostre palpebre, per rappresentare la condizione dell’essere umano prima del ‘risveglio’, quando è ancora annichilito e appiattito dal conformismo che ci propina la nostra società.

Rimanendo in tema “vocals”, senza dubbio Beatrice la tua voce svolge un ruolo fondamentale nell’economia della band, ci vuoi raccontare qual è stata la tua formazione artistica? Che tipo di studi hai seguito?

Fin da piccola ho ‘respirato’ musica, grazie a mio padre che suona tastiera e basso.
Il mio primo approccio ‘serio’ alla musica è stato lo studio del corno francese quando ero alle scuole medie. A 14 anni ho deciso di andare a lezione di canto, per capire come far uscire la voce nel modo corretto: ogni tanto provavo a cantare, ma imitando cantanti dei pezzi che ascoltavo, non riuscivo a trovare la mia vera voce…ero molto timida e introversa ed è stata una decisione davvero faticosa. La mia prima insegnante mi ha trasmesso la passione per il musical e i Nightwish, è stato grazie a lei che ho scoperto il genere perfetto per la mia voce! Mi ha anche convinta a iscrivermi in Conservatorio, dato che la mia voce ha una predisposizione naturale per il canto lirico. Sto ancora studiando lì, mi trovo davvero bene con l’insegnante con cui sto lavorando adesso (dopo averne cambiate tantissime, per ragioni legate alle graduatorie del Conservatorio). Sono entrata anche nella Chocobo Band (tributo alle colonne sonore del videogioco Final Fantasy) nel 2014, grazie alla quale sono stata messa alla prova e sono cresciuta molto, dovendo affrontare una moltitudine di generi diversi rispetto a quelli a cui ero abituata. Sperimento un po’ di tutto da autodidatta e, prima o poi, mi piacerebbe prendere lezioni di canto moderno.

Beatrice Il genere che voi proponete ha delle caratteristiche in comune con altre band blasonate, c’è tra queste qualche voce che ammiri particolarmente?

Ammiro moltissimo la voce di Floor Jansen, per via della sua incredibile versatilità e personalità, specialmente per la capacità di trasmettere una moltitudine impressionante di emozioni: sa passare da una mood dolcissimo a uno estremamente aggressivo. Lei è uno dei miei punti di riferimento. Il timbro più bello in assoluto in questo ambito è, secondo me, quello di Amy Lee: ha una voce rotonda, scura e davvero emozionante.
Tuttavia, anche al di fuori del genere, ci sono cantanti che ammiro particolarmente, ad esempio Tori Amos e Loreena McKennitt.

Alessio per quanto riguarda gli arrangiamenti di chitarra, ho notato che sono molto curati, ma allo stesso tempo non sono artificiosi. Immagino sia stata una scelta voluta quella di curare le melodie, piuttosto che sfoggiare le proprie doti tecniche, per rendere il tappeto musicale più omogeneo. Sei d’accordo con questo mio punto di vista?

Quello che ho cercato di fare è creare melodie originali senza però che risultassero difficili da ascoltare, artificiose appunto: la melodia deve avere un filo logico. Quello che cerco di fare è valorizzare la canzone in sé. Anche le scelte armoniche, quando possibile, non sono banali: dico quando possibile perché ammetto che anche il tappeto di power chord, in certi momenti, ha il suo perché.

Simone lo stesso discorso è valido anche per le tastiere, ottimo il lavoro svolto, ma sempre al servizio della band. Come sei riuscito ad integrare i tuoi arrangiamenti con gli altri strumenti?

In realtà, molti (se non tutti) i brani siamo partiti a scriverli dalla parte di tastiera, quindi più che un arrangiamento è stata una costruzione in base alla mia parte. Il nostro metodo di composizione infatti è spesso questo: durante la settimana, quando ho tempo, mi metto alla tastiera e provo ad inventarmi qualcosa che possa piacermi, per poi il fine settimana proporlo al resto della band, che poi aggiunge le proprie parti.

Federico spesso il basso viene affossato dagli altri strumenti, messo in secondo piano e poco valorizzato. Non è certo il tuo caso perché il tuo lavoro c’è e si sente. Qual è il tuo contributo al sound dei Constraint? So che ascolti generi diversi, tra i quali molto Prog…

Fino ad ora, personalmente, non ho avuto una vera e propria personalità nei pezzi della band perché suonavo per divertirmi. Adesso mi ritengo maturato molto musicalmente, e ascoltando varie band (Snarky Puppy, TOOL, The Dillinger Escape Plan, Deftones, ecc…) cercherò di valorizzare uno strumento così importante continuando a divertirmi.

Alessandro la batteria ha il compito di scandire il tempo di un brano, fondamentale per definire il “mood” di una composizione, ho notato che tu prediligi uno stile lineare, piuttosto che utilizzare stacchi continui e cambi tempo. Condividi questo mio punto di vista? Quali sono i batteristi che più ammiri e che sono fonte di ispirazione per te?

Sì, esatto. Cerco di evitare stacchi e cambi di tempo troppo bruschi per non risultare macchinoso e rendere quindi l’insieme meno piacevole da ascoltare, pur cercando di non risultare banale e “troppo lineare”. Il mio background è molto differente dallo stile della band: il mio gruppo preferito sono senza dubbio i Tool, mentre i miei batteristi preferiti sono di stampo hip hop come Tony Royster Jr e Aaron Spears. Per quanto riguarda il mio stile nel gruppo cerco di adattarmi ai canoni del symphonic metal inserendo qualche timido spunto proveniente dalla mia (molto differente) cultura musicale.

Recentemente c’è stato anche il release party, com’è andata la serata? Che accoglienza avete ricevuto dai vostri fans?

Oltre ad essere stato il primo live con i nostri ospiti speciali (la flautista Marina e il violinista Davide, che hanno dimostrato grande estro artistico e professionalità), è stata una serata fantastica, al di sopra delle aspettative! Il Borderline era pienissimo, sono venuti a sentirci molti amici e fan abituali, ma anche tantissime persone che non ci conoscevano, spinte dalla curiosità. Tutti ci hanno fatto i complimenti! Anche la vendita dei CD al banchetto è andata molto bene! Ne approfittiamo per ringraziare Massimo Bonini, che ha organizzato la serata, tutti gli altri ragazzi che lavorano al Borderline, il nostro fonico Mike, tutto il pubblico e le band che hanno condiviso il palco con noi: Sailing to Nowhere e Revenience! Entrambe carichissime e talentuose, hanno veramente spaccato!

Suonare in una band comporta tanti sacrifici, quali sono state le maggiori difficoltà che avete incontrato in questi anni? Perchè le band italiane faticano ad emergere a livello internazionale?

Abbiamo riscontrato le maggiori difficoltà nell’ organizzare i live… La maggior parte dei locali non è disposta a investire sulle band emergenti, purtroppo. Non essendo sotto booking agency, è tutto molto complicato. Credo che le band italiane fatichino ad emergere per via delle difficili condizioni in cui si trovano qui in Italia…purtroppo non è un paese che supporta granché il metal. All’estero si potrebbe fare successo, ma il problema è trovarsi nelle condizioni economiche per affrontare un tour… quindi, è un circolo vizioso dal quale è complesso uscire. Tuttavia, l’intraprendenza, l’umiltà, l’impegno e l’entusiasmo aiutano sicuramente a superare questi ostacoli. Anche se è stato ed è ancora faticoso, siamo sempre riusciti a trovare la giusta spinta per andare avanti senza abbatterci.

Parliamo del vostro futuro…cosa succederà in casa Constraint nei prossimi mesi?

Sicuramente lavoreremo sulla composizione di brani nuovi: vogliamo sperimentare qualcosa di diverso, senza sentirci etichettati come band ‘symphonic metal’, ma spaziando in altri generi…
Stiamo lavorando anche ad una sorpresa che vi faremo sentire ai prossimi live! Non vediamo l’ora di presentarvi tutto quanto!

Bene ragazzi, siamo giunti al termine dell’intervista. Vi ringrazio per il tempo che mi avete dedicato, lascio a voi il compito di concluderla con un messaggio ai nostri lettori. A presto!

Figurati, grazie a te per l’opportunità! Ringraziamo tutti coloro che ci supportano e incoraggiamo tutte le band che, come noi, suonano musica propria…l’arte è ciò che ci permette di sentirci vivi e di esprimerci come individui, non lasciamoci scoraggiare dagli ostacoli e dalle sconfitte, anzi, sono tutte occasioni di crescita!