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Mike Mangini: “Quel momento in cui Petrucci mi ha detto “Ti amo, grazie”

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La consapevolezza di dover faticare a vita per riuscire a scalzare dai cuori dei fan dei Dream Theater un personaggio carismatico come Mike Portnoy…
Mike Mangini lo sa, ne è perfettamente conscio e nella sua grande umiltà sostiene che hanno ragione coloro i quali dicono che Portnoy sia migliore di lui.
Lo dice scherzando, senza alcun tipo di voglia di fare polemica. E scopriamo così un uomo, un musicista, un professionista vero. Un uomo che, come leggerete di seguito, è riuscito a farsi dire “Ti Amo” da Petrucci!
L’incontro con Mike Mangini si è svolto a Milano lo scorso 17 marzo, in occasione del concerto agli Arcimboldi.
A condurre l’intervista è stato Marco Lazzarini, batterista dei Lucky Bastardz e Secret Sphere. Ed infatti, tra drummers, la conversazione si è fatta subito tecnica al suono di “‘ttttrrr-pà tttrrr-pà’ ffrrrrrr”!

L’intervista:

Ciao Mike, benvenuto su Metal in Italy. Vorrei cominciare questa intervista chiedendoti innanzi tutto; come stai?
Ciao, un saluto a tutti i lettori. Sto bene grazie! Sono felice, come sempre quanto torno in Italia… in un certo senso la considero casa mia!

Grandioso. Il vostro tour in supporto a ‘The Astonishing’ è iniziato ormai da diverse settimane: sta andando tutto bene? Il pubblico sta rispondendo in maniera positiva al vostro show?
È molto di più di un semplice ‘sta andando bene’: la realtà è che sta andando benissimo, molto meglio di quanto avessimo mai immaginato. Ogni sera abbiamo il tutto esaurito, la gente sembra essere stupefatta dal nostro show… sta sorprendendo tutti quanti, siamo sicuri che non si sarebbero mai aspettati uno spettacolo simile! Mentre suoniamo, notiamo dal palco i loro volti rapiti: restano seduti, completamente catturati per più di due ore, per poi esplodere improvvisamente alla fine. È qualcosa di incredibile!

Toglimi una curiosità: quando John Petrucci venne da te e ti disse “Ehi Mike, ho scritto un enorme concept album, sarebbe grandioso portalo in giro nei teatri come unico show!”, quale fu la tua prima sensazione? E quali furono le tue prime impressioni dopo aver ascoltato le parti musicali?
Allora, innanzi tutto devo sottolineare che John ha fatto un lavoro semplicemente straordinario. Rimasi impressionato dal modo in cui ci presentò la sua idea: fin dall’inizio, il lavoro da lui svolto risultava enorme e meticoloso, curato in ogni minimo dettaglio. L’idea di suonare nei teatri mi ha incuriosito fin da subito: sai, è molto diverso come contesto, la resa del suono stessa è differente. Per quanto riguarda la musica, ricordo di aver chiesto a John di farmi avere entrambi gli atti come unica traccia: ‘atto 1’ e ‘atto 2’. Volevo ascoltare la musica nella sua interezza, cercare di capirla appieno. Certo, devo ammettere che inizialmente ero quasi… scettico: il primo atto è ricco di canzoni molto lente e melodiche, ricordo che pensai; “Oddio e adesso?!”. Fu però solamente una prima impressione, una volta ascoltato il secondo atto ricordo che rimasi colpito dall’interezza e dalla completezza dell’opera.

Batteristicamente parlando invece, ci vuoi parlare del tuo approccio e di come hai deciso di costruire le tue parti?
Guarda, una volta resomi conto dell’importanza del materiale che avevo a disposizione, ho cominciato ad ascoltarlo a ripetizione. Non avevo ancora sottomano la storia, non conoscevo le linee vocali, semplicemente volevo entrare in stretto contatto con la musica: sai, sentirla dentro, cercare di capire i vari momenti, comprendere quando ed in che modo poter utilizzare la mia follia che da sempre mi contraddistingue e quando invece tirare fuori il Mike Mangini che non tutti conoscono, quello più pacato e non invadente. Capii subito che in certi punti il mio drumming avrebbe dovuto risultare aggressivo, mentre in altri più passivo. Ho cominciato ad esercitarmi sui brani utilizzando un set di soli 4 pezzi (cassa, rullante, tom, timpano), proprio perché non era mia intenzione sovraccaricare subito il tutto: semplicemente, ho cominciato a suonarci sopra, cercando di interpretare la musica. Non ho scritto delle linee definitive, quello è successo solamente in fase di registrazione.

Hai avuto modo di essere partecipe maggiormente, quindi, nel processo compositivo dell’album?
Sì, in un certo senso mi sento di risponderti assolutamente di sì. Ti racconto un episodio: ricordo che c’è stato un momento in cui pensavo forse troppo a come avrei dovuto suonare in fase di registrazione, alle aspettative che i fans avevano su di me. In quel momento John mi avvicinò e usò una maniera molto speciale per tranquillizzarmi: mi disse semplicemente che lui e la band contavano molto su di me, di suonare come sapevo senza pensare troppo, che avrebbero poi costruito tutto sulle basi da me lasciate. Entrammo in studio: ricordo che la prima canzone registrata fu ‘A Life Left Behind’. John, dall’altra stanza, semplicemente mi disse: “Mike, suona. Vai tranquillo, fai quel che sai!”. Feci esattamente quello, senza pensare. Al termine della prima take, John venne fisicamente ad alzarmi dal sellino della mia batteria per abbracciarmi e ringraziarmi: “Mike ti amo, grazie!!” mi disse. Sapeva che avevo creduto nel suo progetto fin da subito, sapeva che stavo dando tutto me stesso. Alla fine, è stato un successo anche grazie a questo legame che ho con John e con gli altri ragazzi della band.

Penso che alcune parti di batteria siano veramente azzeccate. Andando a memoria, mi viene subito in mente il finale in blast beat della traccia ‘Three Days’, durante lo stacco Jazz: geniale. A distanza di tempo, cosa ne pensi del tuo lavoro? Ci sono parti o canzoni di cui ancora oggi sei entusiasta?
Sì, il blast beat è stata una buona idea, ma non posso dire che sia quello di cui sono più soddisfatto. Nel senso, non è nulla di personale, è più uno schema o un esercizio di tecnica che chiunque può eseguire. Per il resto, posso dirti che entrai in possesso delle mie registrazioni solamente cinque giorni dopo le stesse. Durante questo tempo non ho più potuto suonare l’album, semplicemente perché non avevo idea delle parti che avevo registrato. Mi feci mandare le tracce stereo di batteria, solamente della mia batteria senza la musica, rimasi colpito dalla quantità di dettagli che avevo inserito. Ricordo che pensai: “Oh Dio, ora devo imparare tutto quanto!” (ride). Sono completamente soddisfatto del mio lavoro, credo sia il miglior album al quale abbia mai lavorato, nonché le migliori tracce di batteria che abbia mai registrato in vita mia. E poi è stupendo poter ascoltare una mia registrazione e non sentire solamente del gran ‘ttttrrr-pà tttrrr-pà’ ffrrrrrr! (risate generali).

Un altro pezzo che mi ha colpito moltissimo è stato ‘Our New World’: penso che ogni strumento sia perfetto, che ogni nota si trovi nel posto e al momento giusto. Non ci sono particolari virtuosismi, sento però tantissimo groove, tanto gusto. A questo proposito ti chiedo: quanto è importante, in un album del genere, cercare di fare il più possibile il musicista piuttosto che il musicista ipertecnico? Mi spiego meglio: sembra che, molte volte, tanti musicisti tendano a voler mettere in primo piano il proprio strumento ad ogni costo, cosa che va spesso e volentieri a discapito della canzone stessa. Andiamo alla ricerca di intricatissimi tecnicismi per dare un colpo ad effetto, magari pensando di impressionare gli ascoltatori, anche se forse per quel particolare momento della canzone sarebbe risultata più utile una soluzione semplice, più musicale: non pensi che molte volte sia più difficile limitarsi a suonare solo le note giuste, piuttosto che cercare forzatamente uno strabiliante gesto tecnico?
Questa è un’ottima domanda, non sarà semplice dare una risposta completa. Sono d’accordo con quello che hai detto: la canzone deve venire prima di tutto il resto. Nello stesso tempo, però, penso che ci sia un vasto margine per interpretare questo fatto. Io quando suono non servo solo la musica e le canzoni: onoro il dono che ho ricevuto, e cerco di onorare al meglio sia il contesto in cui mi trovo che i fans, i quali si aspettano sempre molto da me. In altre parole, sono moralmente obbligato a calarmi nella parte. Ti faccio un esempio: prendiamo una delle canzoni più tranquille di The Astonishing, tipo… ‘Losing Faythe’. Verrebbe da pensare che non ci sia tutto questo margine di interpretazione, eppure io mi sono ritrovato davanti una scelta da fare: suonare in maniera semplice e scontata… o suonare in maniera semplice ma interpretata, inserendo alcuni dettagli non invadenti. Ho optato per la seconda, sai qual è stato il risultato? È a mio parere una delle parti batteristiche più belle e colorate dell’intero album… e non se n’è accorto nessuno! Leggendo vari commenti e recensioni, mi sono reso conto di questo. Certo, la linea principale è molto semplice, ma in mezzo ci sono molti colpi di charleston a pedale che si incastrano ad alternarsi tra di loro, sia di destro che di sinistro, tipo: ’tùm, c-cà pssssh, th-c-cà, t-tzzz pà…’ (riproduce il suono riprodotto, simulando il drumming, ndr.). Ma tutto questo non può essere avvertito ascoltando le registrazioni: la parte è stata suonata veramente piano, per favorirne la dinamica, e la produzione ha deciso di dare risalto ad altri strumenti sicuramente più rilevanti in quel momento. Fa parte del gioco, lo posso capire, anche se un po’ mi dispiace. La gente dovrebbe ascoltare le tracce di sola batteria per comprendere appieno tutti i colori che ho inserito, o meglio ancora vedermi suonare le stesse parti dal vivo: sono infatti convinto che durante i nostri show saranno in molti a ricredersi su esempi simili. Tutto questo per dire che sì, la canzone e la musica vengono sempre prima dello strumento, ma penso sia giusto e doveroso cercare di metterci sempre del nostro, per rendere più personale anche una linea che potrebbe a primo ascolto risultare scontata.

A proposito della reazione dei fans alla vostra opera, sono convinto che molti non abbiano affrontato l’ascolto di ‘The Astonishing’ nella maniera corretta, accontentandosi di dare forse un giudizio troppo affrettato. Cosa ti senti di consigliare a chi ancora non è riuscito ad entrare nella città di Ravenskill?
La reazione dei fans è molto importante, siamo qui unicamente grazie a loro. Sono convinto che la maggior parte amerà il nostro ultimo lavoro, ma so bene che ci sarà sempre una minima parte che invece lo odierà. Facciamo un esempio pratico basandoci su numeri casuali, prendiamo… aspetta… cinquecentosettantatre (scandisce il numero in italiano), è giusto? Bene, dicevo 573 persone: sono convinto che in 500 ameranno ‘The Astonishing’, mentre le restanti 73 diranno che non è un album alla Dream Theater, che ci sono troppe ballad, che non c’è abbastanza progressive metal, e via dicendo. Per fare un altro esempio, prendiamo il nostro nuovo show: durante questo tour suoneremo grossomodo davanti a 5-6 mila persone ogni sera, non mi stupirei più di tanto se, da queste migliaia, vedessi 40 persone alzarsi per abbandonare il teatro prima della fine del concerto, contrariate da quanto da loro assistito. Nello stesso tempo, però, la nostra pagina Facebook ha quasi 4 milioni di likes, e sono convinto che almeno la metà di questi siano dei veri fans: quindi, di cosa stiamo parlando? È impossibile piacere a tutti quanti, l’unica cosa che possiamo fare è cercare di dare sempre il meglio di noi, comporre e suonare sempre al 200% delle nostre possibilità per cercare di accontentare quanti più fans possibile. E nonostante io creda fermamente in tutto ciò, so già che una parte di loro ostinatamente continuerà a sostenere quanto Mike Portnoy sarà sempre e comunque migliore di me! Cosa ne penso? Gli faccio un applauso e gli dico: “Bravi, avete ragione!” perché è giusto così, anche questo fa parte del gioco, i gusti personali non possono essere discussi. Ma non cambieranno mai quello che sono e quello in cui credo!

Parlando sempre di batteria, volevo sapere in maniera più generale quale pensi sia il modo migliore per scrivere la linea di un brano: ascoltare il materiale per giorni e giorni, studiando le parti a mente per poi cercare di riprodurle? Oppure prendere subito in mano le bacchette e cominciare a jammarci sopra, cercando di trovare la soluzione giusta?
Non penso ci sia una regola universale per approcciarsi alla composizione: dipende molto dal contesto, dalla musica e dal momento. Certo, se vivessi in un mondo perfetto e potessi scegliere il miglior modo di comporre, ti direi che mi costruirei ogni minuto delle mie linee di batteria scrupolosamente e completamente da solo, e questo processo potrebbe portarmi via… delle settimane intere. Terminato questo processo, vorrei partire in tour e testare queste parti direttamente dal vivo, per poi cambiarle, migliorarle e cambiarle nuovamente. E alla fine di tutto questo, solamente dopo tutti questi cambiamenti e tempo investito, andrei finalmente in studio a registrare. Questo sarebbe assolutamente la migliore maniera per comporre un album! Ovviamente tutto questo è impossibile, ci sono tempistiche da rispettare e spesso ci troviamo ad occuparci contemporaneamente di più situazioni. Come già detto, ho registrato ‘The Astonishing’ sia riflettendo che improvvisando, e in tutto questo ho cercato di inserire il mio stile. Per farti un esempio più prettamente tecnico, sono abituato a cambiare il mio modo di suonare da mancino a destrorso a seconda dei cambi di tonalità della canzone: se in quest’ultima trovo, per esempio, la prima parte della strofa in Re diesis e la seconda il Do diesis, accompagnerò la prima parte con il charleston posizionato alla mia sinistra, suonando così da mancino. Seguendo lo stesso ragionamento, accompagnerò la seconda parte con il charleston posizionato alla mia destra, ritornando così destrorso. Questo per darti un’idea di una parte del mio approccio compositivo, mi piace molto alternare le due impostazioni. Parlando dei Dream Theater, utilizzo questo approccio sia per le nuove composizioni sia per i vecchi brani: ovviamente rispetto e amo molte parti di Mike Portnoy, cerco di non cambiarle più di tanto, allo stesso tempo però voglio metterci del mio. In effetti… ultimamente sto cambiando anche parecchi suoi fills (se la ride). Sono sicuro che Mike ne sarebbe raccapricciato, ma l’importante è che i fans non mi vogliano uccidere per questo (risate generali, anche se le mie sono un po’ forzate: effettivamente… vorrei ucciderlo per questo!!!, ndr.)

Bene Mike, siamo arrivati alla conclusione. Voglio ringraziarti per il tempo concesso, è stato per me un onore. Se ti va di lasciare un saluto alla redazione e ai lettori di Metal In Italy, nonché ai fans italiani dei Dream Theater…
Ciao ‘Metal (In) Italy’! Un caloroso saluto anche a tutti i nostri sostenitori italiani. Ci vediamo stasera a teatro!!

Intervista a cura di Marco Lazzarini