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Dawn Of A Dark Age: intervista a Vittorio Sabelli “Eurynomos”

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E’ la saga degli elementi, un libro musicale di sei capitoli che diventa lo specchio di come il duo Dawn Of A Dark Age intende il black metal.
Il primo gennaio esce il secondo capitolo della saga, questa volta dedicato all’acqua.
Di “Water“, delle influenze dei Dawn Of A Dark Age e dei segreti della band abbiamo discusso con Vittorio Sabelli “Eurynomos” (a cui facciamo tanti carissimi auguri per essere diventato da poco papà!)
A voi l’intervista.

Benvenuti su Metal In Italy, siamo lieti di ospitarvi sulle nostre pagine, potreste presentarvi a coloro i quali ancora non vi conoscono?
Ciao a voi di Metal In Italy e grazie per questa intervista. I ‘Dawn Of A Dark Age’ sono un duo nato all’inizio del 2014 con l’intento di esplorare l’ambiente black metal, sottoponendolo a nuovi blend con musica classica, folk, jazz e contemporanea. È composto da Buran che si occupa delle voci e dal sottoscritto Vittorio Sabelli ‘Eurynomos’ a tutti gli strumenti e alla composizione.

Ci sono artisti del passato o contemporanei che ritenete particolarmente importanti per la vostra formazione di musicisti?
Per quanto mi riguarda, data la mia formazione classica e jazz ho sempre spaziato in ambiti molto differenti, quindi sarebbe difficile scegliere. Senz’altro per ogni ‘settore’ ci sono delle figure di riferimento e potrei avventurarmi dicendo Brahms, Bartòk, Debussy e Shoenberg per quanto riguarda la musica cosiddetta colta; John Zorn, John Coltrane, Charles Mingus, Albert Ayler per l’improvvisazione e la composizione. Mentre per quanto riguarda il lato estremo citerei la ‘Second Wave’ con Taake, Marduk e Darkthrone per il loro sound ‘raw’ e i Windir per il lato melodico.

Il vostro è un genere catalogato come sperimentale. Quali sono le caratteristiche tecniche e stilistiche di ognuno di voi e in quali tratti emerge l’aspetto sperimentale del vostro songwriting?
Come detto in precedenza da oltre venti anni suono in ambiti disparati ed è inevitabile contaminare la matrice black metal con influssi derivanti dalle mie precedenti esperienze. Non so quanto possa importare a chi si avvicini alla nostra musica ma ad esempio, il brano ‘Mouettes A Midi Sur La Mer’ è un incontro ‘live’ dei miei strumenti a fiato (clarinetto e sassofoni) con i gabbiani in riva al Mar Adriatico, e al suo interno sono inseriti diversi elementi tratti dal poema sinfonico ‘La Mer’ del compositore francese Claude Debussy. Mentre i soli di viola presenti in ‘The Old Path Of Water’ sono presi ‘in prestito’ dal concerto per viola e orchestra del compositore ungherese Bèla Bartòk, la cui ricerca in campo etnomusicologico riaffiora in parte anche nel nostro progetto, che va a includere brani tratti dalle zone rurali del mio paese d’origine (Agnone) di origini pagane e non; ad esempio il brano ‘The Verrin’s Source’ è a tratti impregnato di dialetto e di detti popolari. Insomma, non ci chiudiamo nessuna porta e vedremo in seguito quali ambiti e schemi andare a scomodare.

Dawn Of A Dark Age, perché la scelta di questo nome per la band? Ritenete che l’umanità sia agli albori di un’epoca oscura?
Il nome prende spunto dal mondo contemporaneo fatto di ego, sfruttamento, miseria, povertà, con l’uomo cieco che non si accorge che quella natura a cui deve la sua precaria vita si sta ribellando contro di lui. E lo fa in maniera esplicita, con la forza degli elementi che porterà all’inevitabile rottura tra gli uomini e la natura stessa. Quello sarà il momento in cui DAWN OF A DARK AGE si svelerà appieno.

Da cosa è nata l’idea di affrontare un lavoro diviso in sei parti riguardanti 6 elementi? Il primo volume è intitolato “Vol.1 Earth”, in quale sequenza saranno presentati gli altri?
Ho da sempre in mente di esplorare una saga che avesse qualcosa di unico, di non scontato. Un qualcosa che nel suo piccolo non fosse mai stata affrontata in precedenza, affine all’Anello del Nibelungo’ di Wagner o a ‘La Torre Nera’ di Stephen King, o comunque che avesse un inizio, uno sviluppo e una fine. Quindi perché non addentrarsi in un discorso così complesso, vasto ed eccitante? D’altronde vivo in un posto dove il mare si staglia sulle colline e in mezz’ora puoi trovarti a 1500 metri in un bosco ‘nordico’. Insomma un ambiente unico dove poter spaziare a 360 gradi. L’ordine degli Elementi resta da scoprire a cadenza semestrale, posso solo anticipare che sto lavorando al materiale che vedrà la luce il prossimo 1° luglio, e il terzo capitolo sarà ‘Fire’, come contrapposizione a ‘Water’, che uscirà il 1° gennaio.

La scelta di pubblicare un album ogni sei mesi è per voi motivo di pressione, dovuta alla necessità di rispettare delle scadenze?
Assolutamente no! Devono esserci delle scadenze morali per quanto riguarda la musica, solo in questo modo posso continuare a dedicarmi agli altri miei progetti. Non voglio che la saga ‘The Six Elements’ mi porti via dieci anni, probabilmente dopo il sesto capitolo i Dawn Of A Dark Age scompariranno per sempre. A tal proposito c’è stato un interessamento di una label americana per il nostro progetto, ma il loro intento era di pubblicare ‘Water’ a maggio 2015: abbiamo rimandato l’appuntamento al prossimo volume, sempre che siano rispettate le ‘scadenze’ previste! Mentre per quanto riguarda il numero ‘6’, fare un’esalogia con sei brani ogni capitolo per una durata standard di ciascun disco di 36 minuti, stimola ancor di più il processo creativo.

Rimanendo in tema di composizione, come nasce un brano dei Dawn Of A Dark Age? Il fatto di avere una formazione costituita da due elementi agevola il processo compositivo?
Il processo di creazione nasce in maniera molto spontanea, se un riff è convincente posso registrarlo il giorno stesso e passare subito alla ritmica. Molto spesso può venir fuori un tema melodico o ritmico con uno strumento a fiato e a quel punto lavoro ‘al contrario’, aggiungendo la ritmica e le chitarre piuttosto che il piano quando è necessario. Quel che è importante è non ‘sprecare’ nessuna nota o idea: come diceva Stravinskij non è possibile aspettare che arrivi l’ispirazione, ogni giorno qualunque idea venga fuori, che sia giusta o sbagliata, deve trasformarsi in musica. Poiché mi occupo in solitaria del processo creativo e compositivo, questo agevola non poco i tempi di realizzazione dei brani. Una volta ultimata la musica passo i brani a Buran che incide le voci.

Pensate che per una band come voi sia più facile o più complicato discostarsi dall’underground e conquistare anche un pubblico più vasto?
Non sono particolarmente interessato a dove possa arrivare il nostro messaggio. Provengo personalmente da 15 anni di Orchestra Sinfonica e altrettanti di Jazz, quindi so cosa significhi per il pubblico accogliere nuove proposte. Siamo troppo pigri per ascoltare musica che non rientra nel ‘già conosciuto’, non vogliamo impegnarci a nuove sonorità e scoprire nuovi mondi. Potremmo paragonare questa cosa al cibo, visto che siamo il paese dove si mangia meglio al mondo, puntualmente cosa facciamo quando siamo all’estero? Chiediamo ancora pizza e spaghetti. Abbiamo un progetto molto complesso e impegnativo da rispettare, chi s’immerge nel nostro mondo deve avere la predisposizione a confrontarsi con nuovi timbri e nuovi colori, dopodiché solo il futuro può dirci cosa ne è stato dei ‘Dawn Of A Dark Age’.

Quali sono le difficoltà maggiori che incontrate sulla scena nazionale? Mi riferisco alla disponibilità dei locali o l’organizzazione di festival ed eventi.
Al momento non siamo intenzionati a calcare le scene per concerti vista la mole di lavoro che abbiamo in studio, probabilmente dopo il quarto capitolo (1 luglio 2015) ci metteremo in moto per realizzare quello che sarà il live.

Il prossimo 1 Gennaio verrà pubblicato il secondo capitolo “Water”, cosa dobbiamo aspettarci da questa uscita discografica? Ci saranno novità dal punto di vista stilistico?
Ognuno dei sei capitoli sarà diversificato dagli altri, ma allo stesso tempo sarà la naturale continuazione come in un puzzle, dove i singoli pezzi ‘sembrano’ isolati, ma tutti tendenti a formare il quadro finale. Rispetto al precedente ‘Earth’ è stato inserito in organico il violista/violinista P-Kast, che in passato ha suonato in importanti realtà quali l’Orchestra della Scala di Milano, l’Orchestra della R.A.I. e soprattutto un musicista curioso che va ben oltre l’uso tradizionale di uno strumento ad arco. La voce di Buran non è tarata esclusivamente in scream come sul primo volume, ma abbiamo sfruttato anche il growl in maniera massiccia e profonda. Inoltre la presenza su un brano di Malàk e di BelSon come voci clean e melodiche dà la giusta introduzione a quello che è il disco nella sua interezza. Ci sono più parti free, poiché l’elemento acqua è imprevedibile e mai ripetitivo e uguale, oltre ad alcune sezioni prog che spuntano nel corso del disco.

Concludiamo l’intervista lanciando un messaggio a chi già vi segue ed ai futuri fans da conquistare.
Innanzitutto ringrazierei i fan che finora ci hanno supportato, mentre chi non ancora non ci conosce può avvicinarsi alla nostra musica e al nostro progetto andando sull’unico sito dove sono disponibili i nostri dischi in Edizione Limitata.
Grazie per l’intervista e un saluto a tutti ai seguaci di Metal In Italy.