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Dawn Of A Dark Age: “The Six Elements, Vol. 2 Water” – Recensione

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dawn of a dark age

Non nascondo che, prima di mettermi all’ascolto di “The Six Elements, Vol. 2-Water”, ho ascoltato molto bene “The Six Elements,Vol.1-Earth”. Questo è il secondo di sei album dei Dawn Of A Dark Age ispirati ai quattro elementi naturali, più due aggiuntivi, riguardo dei quali disconosciamo il contenuto.

Ciò che posso affermare è che la band ha un potenziale molto ben espresso e questo Vol.2 è in perfetta continuità col suo predecessore, ma più curato negli aspetti tecnico-stilistici. La band di Vittorio Sabelli “Eurynomos”, Buran e P-Kast ci presenta 36 minuti di fine sperimentazione tecnica e compositiva. Da qualche anno ormai la scena metal, in generale, ha visto affacciarsi queste contaminazioni propriamente dette Avant-garde metal, basti pensare, nell’ambito Black Metal, a band del calibro degli Arcturus. Ebbene, i Dawn Of A Dark Age ci presentano un Avant-garde black metal ricco di sfumature e sfaccettature che i più sensibili d’orecchio non potranno che apprezzare.

Sulla base del vecchio black metal, per quanto concerne l’uso di ritmiche, riffs e delle parti vocali in scream e growl, che in molti casi virano anche sull’uso in pulito, i nostri ci sorprendono con una finezza stilistica, che trova apprezzabile compimento nell’utilizzo di strumenti a fiato, quali sax e clarinetto, nonchè degli archi. Questo connubio crea in più parti un tappetto sonoro dalle fattezze affascinanti, che spazia tra sonorità oscure, melodiche ed opprimenti. Già nel brano “Otzuni (The Black City In Apulia)” troviamo parti tecnicamente jazz di sax e clarinetto; queste, unite a tematiche propriamente black metal, creano un’ aura di malinconica oscurità. Tali caratteristiche le riscontriamo, in tutta la loro magnificenza in “The Old Path Of Water (Where You Rot Slowly)”, brano in cui è maggiore il mix di parti puramente black, unite a sorprendenti sezioni soliste di clarinetto.

Nonostante sia il costante utilizzo di strumenti a fiato il filo conduttore sonoro del disco, va sottolineato che ogni traccia è una storia a se. Più spiccatamente black metal è “The Verrin’s Source (On Mount Field)”, il cui ascolto devasta e allo stesso tempo narcotizza, per l’alternarsi dei blast beat di batteria con le melodie di chitarra classica, il tutto concludendosi, scemando, su sonorità da luna park! Oggettivamente fine è la chiusura del lavoro, sulle note dell’outro, in cui la fanno da padroni, ancora una volta, i fiati. Peccato per la produzione che, pur riproponendo suoni consoni al genere, non sempre risulta ottima.

Quest’album è il chiaro esempio di come sia progredita la sperimentazione musicale, fino a raggiungere risultati molto validi. I Dawn Of A Dark Age, vanno senza dubbio annoverati, tra le band che sanno collegare ed incollare i vari caratteri di folk, jazz, musica classica e avanguardia tecnico-musicale, partendo da una base solida di genere (nel loro caso black metal). Cosa aggiungere? Aspettiamo i Vol. 3, 4, 5, 6…