Home News In Giappone amano le nostre band. Noi le facciamo morire

In Giappone amano le nostre band. Noi le facciamo morire

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E’ una vera e propria emigrazione. Temporanea, ma pur sempre un’emigrazione.
Parliamoci chiaro: si preferisce fare 10/12 ore di volo per suonare in un Paese straniero, in questo caso il Giappone, restarci 2/3 sere, ma tornare a casa con un bagaglio in più: la soddisfazione. E quella non te la pesano al check-in, anzi.
Questa settimana abbiamo assistito all’annuncio choc dei Mellowtoy di chiudere bottega. Dopo 20 anni, una delle band più rappresentative della scena milanese, ha deciso di accantonare tutto. Perchè?
Perchè arrivati ad una certa, quando vedi che prendersi giorni liberi al lavoro, trascurare la famiglia, investire soldi, non dà più frutti, scatta quel meccanismo per il quale dici “Ok ragazzi, è stato bello, ma non ne vale più la pena”.
Sono lontani i tempi in cui ci si ritrovava in un garage a strimpellare e a sognare. Ora anche le band più giovani, probabilmente con in testa un’idea di sacrificio e gavetta che non è più reale, sanno che suonare per divertimento o a tempo perso non è più possibile. I tempi sono cambiati e così anche le responsabilità.
Per chi ancora ha tempo, soldi e voglia, la prospettiva di trovare gratificazione all’estero viene presa in considerazione ed attuata. I Paesi asiatici da sempre si dimostrano benevoli con le band straniere, proprio perchè le apparizioni non sono all’ordine del giorno e quando qualcuno decide di andare a suonare lì, il popolo lo ripaga con affetto.
Probabilmente, all’inverso, anche se in maniera decisamente minore, questo accade anche per altre band straniere in altrettanti altri Paesi, ma diciamocelo, solo in Italia assistiamo talvolta a guerre intestine e senza senso. E la colpa è di tutti: dagli organi d’informazione alle agenzie che organizzano concerti, finanche le band stesse. Quante volte è capitato che su un bill di quattro band, al momento dell’headliner chi ha suonato prima è andato via? “Ho svolto il compitino, mi sono preso il mio pubblico ma per te non resto altrimenti siamo di più…”.

A mio avviso, uno dei problemi principali sta anche nella programmazione degli eventi: paradossalmente c’è troppo e spesso. Non che bisogna centellinare, ma sicuramente una più accurata fase di programmazione concerti nella stessa città deve essere tenuta in considerazione. Perchè qui non è il problema dei 5 euro all’ingresso: se uno volesse presenziare a più concerti nell’arco di una settimana (tralasciando il discorso “tempo a disposizione”) deve comunque tenere in considerazione un certo budget da spendere, sia per l’ingresso che per la consumazione. In questo discorso sono esenti alcuni festival che si protraggono per più giorni, perchè in quel caso l’offerta è diversificata e si viene incontro alle varie esigenze e ai vari gusti.

Ormai è chiaro che c’è la crisi da concerto, ma semplicemente perchè tutti ci siamo un po’ impigriti. E fa male vedere band che macinano km per suonare davanti a 10 persone.
In quei momenti spero sempre che le luci della ribalta non facciano loro vedere la “platea”… così da scorgere nei loro occhi la soddisfazione di fare musica senza pensare a chi o a chi non ascolta.