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Sadist: “Hyaena” – Recensione

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Sadist Hyaena

“Hyaena”, attesissimo ritorno discografico dei Sadist, è un album dannatamente complesso, di quelli che ti tengono con le orecchie tese ad ascoltare ogni passaggio, sfumatura o atmosfera, non è per il semplice diletto.

La band genovese ha da sempre fatto parlare di sé per le scelte stilistiche, condivise o meno, ma che hanno dimostrato una tendenza all’ anticonformismo ed alla sperimentazione, tratti che con questa nuova release raggiungono un livello altissimo. Il Death progressivo che Trevor e soci ci propongono è molto tecnico, ma non sovraccarico di quelle strutture tortuose che risultano fini a sé stesse, perché c’è un metodo nel delirio sonoro delle dieci tracce contenute nella tracklist.

L’opener “The Lonely Mountain” dimostra chiaramente che i Nostri non amano seguire percorsi già battuti, ma si addentrano nei meandri più oscuri e si fanno largo. È così che dopo il verso della iena, animale al quale è dedicato questo concept, Tommy Talamanca inizia a deliziarci con un riff intricato e dal sapore fusion/distorto, supportato dall’eccellente lavoro di Andy Marchini al basso ed Alessio Spallarossa alla batteria. Quando si ha l’impressione che il brano stia decollando, ecco che ci si ritrova immersi in un’atmosfera tribale, ansiogena e foriera di oscuri presagi. Sul tappeto musicale si erge la voce arcigna di Trevor, il quale segue le trame che vengono ricamate dai suoi compagni d’arme.

“Pachycrocuta” continua il percorso iniziato con la traccia precedente, ma qui iniziamo ad apprezzare anche la parte solista di Tommy e le atmosfere che l’axeman crea alle tastiere, lavoro che viene amplificato dalla seguente “Bouki”, il cui riff portante vede proprio chitarra e keyboard procedere all’unisono attraverso progressioni quasi cacofoniche. Si dice che la iena sia stata cavalcata dal demonio, è così che “The Devil Riding The Evil Steed” ci catapulta in un’atmosfera infernale e sulfurea regalandoci una delle tracce migliori del lotto.

I Sadist non sono solo macchine da guerra inarrestabili, ma la loro maturazione artistica trova ampio riscontro anche nella strumentale “Gadawan Kura”, il brano più fusion ed introspettivo, in cui sicuramente viene messa sotto la lente di ingrandimento la maestria con la quale Andy compone e suona il suo basso. Non si tratta di una resa, perché con “Eternal Enemies” il quartetto torna a picchiare duro ed è un piacere ascoltare nella seconda metà del brano chitarra, basso e batteria procedere chiaramente attraverso sentieri apparentemente differenti, ma complementari. Da ascoltare a ripetizione l’incipit di “African Devourers”, pochi secondi nei quali la band dimostra quanta cura sia stata messa in ogni particolare. Qui si ha l’impressione di essere osservati dal predatore, quella iena pronta a colpire nell’oscurità; questa sensazione viene ben sottolineata anche dalla voce di Trevor, a tratti quasi narrativa.
Chiudono “Scratching Rocks” e “Genital Mask”, con quest’ultima a rappresentare il vero manifesto progressivo e jazzato che contraddistingue l’intera release, un tocco di classe che mi ha ricordato gli Aghora di Santiago Dobles.

“Hyaena” è un album che testimonia ancora una volta il valore di una delle band storiche del panorama estremo italiano, inutile dire che non bisogna lasciarselo sfuggire.