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Aleph: “Exhumed Alive” – Recensione

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Sempre più spesso cinema e musica viaggiano di pari passo nelle produzioni discografiche. E gli Aleph non fanno eccezione con un letterale fil rouge che unisce l’intero prodotto.
Exhumed Alive” è anche una sorta di gioco di parole in quanto si tratta del primo album live: cornice d’eccezione il Centrale Rock Pub di Erba.

Una prova degna di nota quella del combo bergamasco che punta tutto sulla componente horror e sulle atmosfere cupe e misteriose, addolcite da un’ottima produzione dei suoni per essere un live album.
“Exhumed Alive” sembra essere uscito da un polveroso scaffale degli anni 80, riconoscibile tra i miti dell’epoca, Slayer e Black Sabbath su tutti: un omaggio tutto italiano da parte di una band che sa come destreggiarsi tra i vari generi, pur tenendo sempre un preciso punto di riferimento: il dark metal. Tra le particolarità notiamo innanzitutto la lunghezza dei brani, il che vuol dire che su un’ipotetica timeline c’è spazio per metterci di tutto: dai violenti riff di chitarra, alla cattiveria vocale che non perde mai ritmo e ben si destreggia tra le parti rudi e quelle prettamente narrative.

Gli amanti del genere adoreranno “The Snakesong”, mentre i più raffinati riconosceranno l’omaggio dell’ “Intro” dedicato ai dialoghi cinematografici di “Profondo Rosso” di Dario Argento.
I ringraziamenti in “The Fallen” o in “Smoke And Steel”, o ancora l’introduzione al nuovo singolo “The Old Master” sono necessari per capire che si tratta davvero di un live album! I suoni perfetti, infatti, potrebbero fuorviare, ma questo non è che un grane pregio per la band, capace quindi di un’ottima resa sia in fase di studio che in fase live.
Attivi dal 1998, gli Aleph si apprestano dunque a festeggiare i 20 anni di carriera, non raccogliendo probabilmente quanto davvero meriti una band che abbia saputo amministrare con coraggio generi riconducibili a mostri sacri, dando però un tocco personale e riconoscibile.