C’è qualcosa di profondamente inquietante e stranamente affascinante in Amusement Park, il nuovo album dei Bauman, uscito per Jetglow Recordings. Un concept cupo, disturbante, che trasforma il parco giochi, simbolo per eccellenza della spensieratezza, in un luogo di tensione emotiva, disillusione e consapevolezza. Sette tracce come attrazioni sbagliate, luci al neon che mascherano crepe profonde, grida che da gioiose diventano richieste d’aiuto.
I Bauman non cercano scorciatoie: l’alternative rock è il loro linguaggio, ma le parole pesano, il suono graffia, la poetica è quella di chi ha visto l’altra faccia del divertimento e ha deciso di non restare in silenzio.
Li abbiamo incontrati per parlare di disagio, bellezza tossica, rivoluzioni interiori e della difficoltà, o forse necessità, di fare musica alternativa in un’Italia che corre veloce, spesso nella direzione sbagliata.
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Cosa vi ha fatto davvero incazzare, al punto da voler costruire un intero “parco giochi del disagio” come Amusement Park? Se doveste indicare l’episodio, l’immagine o la frase che ha fatto scattare tutto, quale sarebbe?
Gli episodi da citare sarebbero molti, basta guardarsi intorno durante la vita di tutti i giorni. Ci piace pensare che ognuno possa costruirsi un proprio Amusement Park del disagio e crediamo che certe “attrazioni” sarebbero comuni a molte persone.
Volendo citare un episodio direttamente legato al disco, non possiamo non pensare al massacro di Debra Libanos raccontato nella traccia omonima e su cui vi invitiamo ad informarvi.
Avete parlato di una rivoluzione interiore sopita che vi ha spinti a dar vita ai Bauman. Ma cosa succede quando questa rivoluzione si sveglia? Fa più paura liberarla o tenerla dentro?
Crediamo che se l’avessimo tenuta per noi il disco non sarebbe nato così com’è o non sarebbe proprio nato. E’ la paura di tenerla dentro che ci ha spinto a dare queste tinte ai brani che, in un certo senso, sono per noi liberatori dalle frustrazioni quotidiane.
“Mangia. Prega. Urla.” è un titolo che suona come una presa in giro feroce di certe narrazioni preconfezionate. Vi capita mai di sentirvi imprigionati in un ruolo, anche come band? Cosa fate per spezzarlo?
In un modo o nell’altro ogni band si ritrova imprigionata in un ruolo, soprattutto le band molto popolari. E quel ruolo spesso viene imposto dall’alto oppure è un’etichetta che il pubblico ti affibbia. La vera prigione nasce quando quello che la band vuole trasmettere e il ruolo che le viene assegnato non collimano. E’ una considerazione banale, ma sappiamo tutti bene quanti sono i gruppi che sono stati snaturati dallo show business. Per spezzare quel ruolo probabilmente bisogna essere fedeli a se stessi e allo stesso tempo provocatori, ma non è semplice.
In un mondo che sembra sempre più un luna park psichedelico e delirante, credete che la tristezza possa ancora avere un valore politico? Può essere uno strumento di resistenza, oggi?
La tristezza è un concetto molto abusato nel mondo della musica, soprattutto da chi non ne fa uno strumento di resistenza, ma la usa per arruffianarsi il grande pubblico.
E’ un sentimento talmente personale e soggettivo che non crediamo possa avere un valore politico, ma può essere la molla per far scattare qualcosa, che sia una forma di resistenza o di consapevolezza.
C’è una sensazione di umidità, nebbia, cemento freddo che aleggia in tutto il disco. Quanto c’è del vostro vissuto, dei luoghi che abitate (fisici o mentali), nelle canzoni che avete scritto?
E’ scontato dire che quelle sensazioni sono intrinseche della zona da cui proveniamo (la provincia di Padova) e che non possono non averci influenzati in fase di scrittura del disco. Aggiungiamoci poi che quelle stesse sensazioni si trasferiscono facilmente dal piano fisico a quello mentale della gente che ci circonda ed il gioco è fatto. Canzoni nebbiose per menti annebbiate dalla freddezza del quotidiano!
Fare musica alternativa in Italia è un po’ come cercare di costruire un castello in una sala giochi: tanto rumore, poco spazio, luci che distraggono. Come vi muovete in questo caos? Qual è l’equilibrio tra il rimanere fedeli a se stessi e il voler essere ascoltati?
Da quando abbiamo iniziato, anche in altri progetti, abbiamo sempre scelto di non scendere a compromessi al riguardo: vogliamo costruire il nostro rifugio in questo mondo che spesso ci osteggia e non ci dà spazio. Siamo dell’idea che è meglio essere ascoltati da pochi proponendo un’alternativa piuttosto che cercare di attrarre una massa che ti “sente” (non ti “ascolta”) e poi ti sputa via. E’ sicuramente controproducente e frustrante, ma è nella nostra natura. Ed è un filtro che ti fa capire chi è realmente interessato e chi no.
Se ognuna delle tracce di Amusement Park fosse davvero un’attrazione, che tipo di giostra sarebbe? Qual è quella su cui nessuno dovrebbe salire a cuor leggero?
Probabilmente non si dovrebbe salire a cuor leggero in nessuna delle attrazioni del parco metaforico tratteggiato dal disco. Ma attenzione: questo non vuol dire salirci avendo paura delle conseguenze che potrebbero esserci, ma salirci con la giusta consapevolezza dell’ascoltatore attento.
Noi vi invitiamo a fare un giro nel nostro parco, il biglietto è gratuito e se avete buona volontà e pazienza potreste sorprendervi di quello che troverete all’interno.



